Quando le voci nella mia testa si fanno più forti dei pensieri non ho altra scelta che scappare in Abruzzo a sfogare la mia rabbia su un vecchio biliardo con le buche troppo strette e con qualche pendenza. Lì non mi devo preoccupare di chi possiede un pistola, ma solo di chi non ce l'ha. L'Abruzzo è selvatico, selvaggio, così come il De Gregori del 1973, quello dei suoi vent'anni.
A quel De Gregori chiedo tutto quello che posso ogni volta che passa di qui, ma non mi risponde mai... non per qualcosa, ma l'annuncia gia dal titolo che risposte buone non ne ha. Mi giro questa copertina tra le mani e mi pare bello come un soldato spaventato dalla trincea e annoiato dalle retrovie di una qualsiasi guerra, con la divisa sporca di terreno e i bottoni messi a casaccio. Ha un viso, ha delle parole, che fregano il tempo, che fregano i sensi.
Il ricordo di quando incominciai ad amarlo fugge nella mia infanzia e all'improvviso svanisce. Ricordo con certezza di non aver mai colto il senso delle sue parole, inafferabili come i pensieri, e di non averci mai nemmeno provato. Ricordo la copertina di Scacchi e Tarocchi tra la collezione di mio padre, ma cosa importa? Quello che conta è il dialogo: metti questo disco e la gente tace, ascolta come se stesse pesando le parole che De Gregori canta. Ti sforzi di capire, ma tutto quello che ti viene è, ancora una volta, un Alice non lo sa.
Ho perso questo disco, fisicamente tre volte, e mi ci sono perso dentro ogni volta. E' una fuga, nient'altro, è la mia madeleine, porta verso un passato mai lasciato troppo indisparte, verso viaggi a finestrini abbassati, verso strambi orizzonti e sbronze dal tono calante, e considerando che quando il tempo mi avrà privato dei capelli, della birra e della gioventù e il Jazz continuerà a non far per me, questo disco ci sarà ancora e sarà sicuramente lievitato... sarà un madeleine grossa come una pizza e ora ditemi... Buonanotte Fratello.
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