Torna De Gregori e lo fa in grande stile con un disco memorabile che si scosta dagli ultimi due, almeno per le musiche, sembra quasi un ritorno ai beneamati ritmi country-folk tipici degli anni '70, anche se non mancano sprazzi rock quà e là e delle inconsuete influenze blues.

Destinata probabilmente ad entrare nell'olimpo delle canzoni del Principe più belle di sempre "Per brevità chiamato artista" ci narra le vicissitudini di un artista dal doppio volto e dal doppio senso come spesso i suoi testi ci hanno abituato, "Doppio come una medaglia, se fosse d'oro sarebbe cartone", squarci di una vita da chansonnier, ricolma di immagini oniriche e suggestive. 

"Finestre Rotte" è una ballata rock a tinte blues, piuttosto atipica per il nostro a dire il vero, che con metafore al fulmicotone ci accompagna verso lo sfacelo del nostro tempo, parole che arrivano dritte al cuore e al cervello per farci riflettere e meditare.
Echi di una chitarra elettrica, probabilmente in mano a quel talento di Paolo Giovenchi, chitarrista prediletto ormai da tempo, ci introducono nella magnifica "Celebrazione", autobiografica e che ci catapulta nel bel mezzo del '68 e degli struggenti anni di piombo, anni di "di terrorismo e di fotografia" dove "la sinistra era paralizzata, la destra lavorava" anni dai quali il Principe però cerca di prendere le distanze, quasi a rimarcare il fatto che lui con la contestazione centrava molto poco "Mi ci volevano inchiodare ai loro anni ciechi e sordi", rimane comunque innegabile che proprio in quel periodo, ci abbia regalato alcune delle pagine più belle della canzone d'autore italiana. "Dove la vita ha fatto bingo, tra una ferita e una mutilazione" Ancora un attimo per riprenderci dall'incanto creato dalla terza traccia, ed ecco che il nostro artista si siede al pianoforte per donarci una favola disincantata, raccontataci con un soffio di magica poesia in "Volavola", non ci rimane che adagiarci sulla nostra poltrona, ascoltare la soave melodia imperniata di note e seguire il consiglio del titolo. 
"Ogni giorno di pioggia che Dio manda in terra", è una classica ballata country senza pretese, con un ritorno in sordina di una armonica a bocca in primo piano da buon folk-singer, forse non il meglio della sua produzione, rimane comunque un brano di piacevole ascolto. Apocalittica, visionaria e dal ritmo sincopato con "Carne umana per colazione" siamo trasportati nel mezzo degli orrori dei nostri giorni, ormai i media ci hanno abituato a qualsiasi tipo di nefandezza umana, e quasi niente sembra più scandalizzarci. "Ma non vedo più nessuno che s'incazza fra tutti gli assuefatti della nuova razza", avrebbe detto il mitico Giorgio Gaber.
Il mondo è letteralmente a "Pezzi", e questo c'è lo ha ricordato gia qualche anno fa, ma ora sembra proprio che al disfacimento non ci sia più via di salvezza neanche "gettando la chiave e andando in Africa come Celestino". Nel disco c'è spazio anche per una cover, ma rimaniamo sempre in famiglia, infatti "L'angelo di Lyon" è una stupenda vecchia canzone di Luigi Grechi fratello del cantautore che gia tempi addietro gli aveva regalato quel magnifico capolavoro che è "Il bandito e il campione", un lungo viaggio da Bruxelles a Lione passando per il Rodano e la Saone alla disperata ricerca di amori perduti.
Ma ecco arrivare il più puro ermetismo Degregoriano nell'ottava traccia del disco dal titolo"L'imperfetto", dove il poeta si diverte a giocare e poetare con verbi all'imperfetto per l'appunto, creando mistero e segni di una vita che passa, tra gioie, dolori, amori e disamori. 
Il disco si chiude con "L'infinito" che ben poco ha a che fare con gli interminati spazi e i sovrumani silenzi Leopardiani, piuttosto è una canzone cupa, triste, piena di angoscia accompagnata da una malinconica melodia che ci porta verso la vecchiaia e verso la nostra ultima stazione: "E ho visto un grande albergo con le luci spente e ho avuto un po paura / Alle mie spalle il giorno si stava consumando ed ho provato un poco di tristezza ma nemmeno tanto."

Insomma un classico disco Degregoriano che farà sicuramente felici i vecchi fan, nessun imprevisto cambio di rotta, nessuna svolta rock, un nuovo piccolo gioiello di cui andare fieri, di un artista vero, lontano anni luce dalle logiche del mercato, e che ancora riesce a regalarci momenti di evasione, di vera poesia e di sogno.

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