"Signor capitano non glielo volevo dire, ma c'è in mezzo al mare una donna bianca... così enorme, fresca e scura, che di guardarla uno non si stanca..." La natura non svolge certo un ruolo favorevole per rendere positivo il primo viaggio di questa sensazionale nave, grande e moderna come non mai "questa nave fa duemila nodi, in mezzo ai ghiacci solitari, ed ha un motore di un milione di cavalli che al posto degli zoccoli hanno le ali".

"La nave è fulmine, torpedine, miccia, scintillante bellezza, fosforo e fantasia; molecole d'acciaio, pistoni, cavalli, rabbia e guerra lampo e poesia... in questa notte elettrica e veloce, in questa croce di novecento, il futuro è una palla di cannone accesa, e noi la stiamo quasi raggiungendo..." De Gregori indossa i panni di un poeta futurista e parola dopo parola, suggestione dopo suggestione trasmette con straordinaria poetica l'entusiasmo che verteva intorno questo prodigio dei tempi moderni. Ma come si porrà l'artista davanti questo progresso forzato? La risposta arriva perentoria: "Ma il capitano dice al mozzo di bordo, signor mozzo io non vedo niente... c'è solo un po' di nebbia, che annuncia il sole, andiamo avanti tranquillamente..." e una coda musicale allude alla tragedia che tutti conosciamo fin troppo bene.

Secondo l'artista romano non è il momento di farci trascinare dalle onde dell'entusiasmo verso un progresso così fatuo: ci aveva infatti ammonito della realtà dei fatti piazzando nella celebre nave personaggi della cui esistenza troppo spesso ci dimentichiamo. Gente povera, che soffre, sfruttata "ma mamma a me mi rubano la vita, quando mi mettono a faticare; per pochi dollari alle caldaie, sotto al livello del mare" gente ignorante "ma mamma io a dirti il vero l'italiano non so cosa sia, e pure se attraverso il mondo non conosco la geografia" gente che cerca il riscatto e il benessere emigrando in america, gente che si nutre di sogni ed illusioni, gente dietro la cui partenza c'è un dolore immenso "figlio con quali occhi, con quali occhi ti devo vedere, con i pantaloni consumati al sedere e queste scarpe nuove nuove" "figlio che avevi tutto, e che non ti mancava niente, che vai a confondere la tua faccia con la faccia dell'altra gente, e che ti sposerai probabilmente in un bordello americano, che avrai dei figli e una donna strana, e che non parlano l'italiano".

Nella title-track troviamo il confronto tra diversi tipi di individui: "La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento e puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto", chi va in America per raggiungere il successo e il benessere "noi ragazze di prima classe che per sposarci si va in America" e chi invece per trovare modo di sopravvivere "siamo ragazzi di terza classe che per non morire si va in America" per i quali la nave è, in confronto alla realtà ai quali sono abituati, un paradiso "Ma chi l'ha detto che in terza classe si viaggia male? Questa cuccetta sembra un letto a due piazze, ci si sta meglio che in ospedale. A noi cafoni ci hanno sempre chiamati, ma ci trattano da signori: quando piove si può star dentro ma col bel tempo ceniamo fuori".

Meglio guardarsi intorno, insomma, prima di correre dietro ad inarrivabili palle di cannone.

Ma Titanic non è solo questo: è la splendida canzone d'amore "Belli capelli" e l'altrettanto bella "Caterina" ode alla cantante toscana Caterina Bueno, che si è spenta nel 2007.

Forse meno incisivi gli altri brani, nonostante il fascino dell'intensa ballata pianistica antimilitarista di "San Lorenzo" e la celeberrima "La Leva Calcistica della classe '68", che fa sognare generazioni di ragazzi in erba. Non da buttare neanche i due brani più briosi: "Rollo & His Jets" e  "Centocinquanta stelle".

Vi saluto e vi consiglio vivamente questo album, non a caso tra i più apprezzati della discografia di De Gregori nonché di tutto il cantautorato nostrano. 

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