A un anno da "Canzoni da intorto" Francesco Guccini ritorna per portarci, attraverso la musica, nei suoi anni trascorsi.

L'interpretazione dei 14 brani è soggettiva, mentre le fonti sono molto varie.

Si parte con Bella ciao, che sarebbe stata bel collocata nel disco precedente, fino a girare, musicalmente e testualmente, l'Italia e il mondo. C'è ne è per tutti: canzoni del Sudamerica, in dialetto non solo bolognese ma anche veneto, brani in ebraico e greco fino ad arrivare alle piantagioni di cotone sempre in America.

A differenza del disco precedente, dove il termine "intorto" avrebbe fatto pensare di più a un discorso sentimentale, ma i brani in tal senso erano uno massimo due, qui c'è una maggiore presenza della componente amorosa, con ben quattro brani esplicitamente sentimentali, ovvero Amore dove sei, Maria la guerza, Sur e La tieta, quest'ultima incisa nel 2004 su "Ritratti" e la cui musica è addirittura del 1969, anno in cui Mina, con un testo diverso, la portò al successo come Bugiarda e incosciente.

Varietà di genere significa anche varietà di strumenti utilizzati, grazie alla produzione di Fabio Ilacqua, produttore anche del precedente "Canzoni da intorto", con l'ausilio del musicista Stefano Giungato.

Si comincia, come detto, con Bella ciao, resa più personale con la fisarmonica, per poi viaggiare nell'Argentina di Jacinto Chiclana, di Astor Piazzola e Jorge Luis Borges, brano che Guccini cantava già negli anni Ottanta e che è pure già stato pubblicato ne "L'ostaria delle dame", nel 2017. In questo brano c'è un riuscito connubio di pianoforte, fisarmonica e archi. Batteria, chitarra e tromba dialogano nel successo del 1970 Amore dove sei, scritta da Giorgio Laneve e Marcello Minerbi.

Un valzer della gelosia è invece Maria la guerza, che "tradisce" il marito consumando alcolici con un vicino. Il brano è cantato in dialetto bolognese.

El caballo negro pure la faceva negli anni Ottanta e pure appare ne "L'ostaria delle dame". È la storia di un uomo che desidera un cavallo nero di razza per poter attraversare l'Argentina.

La tieta, canzone in origine di Juan Manuel Serrat, era stata tradotta il dialetto emiliano come La ziatta, ovvero una sua zia che non si era sposata. Dal dialetto emiliano a quello veneto con Il canto dei Battipali, gli operai della laguna che la intonavano per alleggerire il lavoro.

Hava Nagila fu composta da Abraham Zwi nel 1918 per festeggiare la vittoria degli inglesi in Palestina nella Prima Guerra Mondiale. È dedicata da Francesco Guccini ad un amico che passava molte serate all'Ostaria delle dame.

The last thing on my mind invece è di tutt'altro genere, un country blues di Tom Paxton sorretto quasi interamente dalla chitarra acustica.

La Chacarera del '55 pure era già stata pubblicata nel 2017, e vede il ritorno dell' Argentina, precisamente di un locale di San Miguel di Tucumàn, dove si era soliti passare nottate tra bibite e musica. Il brano è cantato in argentino.

La madonnina di Borgo San Pietro, questa è la traduzione italiana, fu scritta da Quinto Ferrari, ed invocava sia la protezione dalla peste che la civile convivenza tra il borgo e il vicino borgo Pratello. Guccini la rende con grande nostalgia di un'Italia che non c'è più.

Il banjo è tra gli strumenti di Cotton fields, canto tradizionale dei lavoratori nelle piantagioni di cotone nel sud degli Stati Uniti. Più che un country blues, viene reso country rock.

Ancora Argentina con Sur, il ricordo di una donna ormai persa nella Buenos Aires degli anni Cinquanta.

È si arriva alla fine con 21 aprile, dedicata al colpo di stato dei greci del 21 aprile 1967. L'autore, Alexandros Devetzoglou, era amico di Guccini, e la resa è bilingue, italiano e greco, come l'originale.

Rispetto al precedente c'è una maggiore ricchezza in tutto, e nonostante la voce non impeccabile e brani già editi, possiamo dare le 4 stelle pure a questo.

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