Era il 1983, io sarei nato 4 anni dopo questo disco e lo avrei ascoltato ed apprezzato circa 18 anni dopo la sua incisione. Questo dovrebbe aiutarvi a comprendere il senso di immortalità che si cela dietro le opere di certi autori e certamente Guccini fa parte di questa nobile categoria.

L'LP in questione fa segnare una netta continuità espressiva e dialettica con quello precedente (Metropolis - 1981). Il tema principale continuerà ad essere quello del viaggio visto all'interno di una prospettiva di negatività scaturita dall'impossibilità di conoscere. Guccini infatti si confronta, cosa rarissima nei suoi lavori, con canzoni di mera fantasia (Autogrill, Shomèr ma mi-llailah?...) e con altre semi-autobiografiche, ma che vedono comunque come protagonista l'idea di viaggio (sia nel senso metafisico o vagamente surreale, sia in senso fisico).

Le tracce sono 6, poche come spesso il maestro ci ha abituato. "Guccini" è quindi un disco compatto, ma correlato da una ricchezza espressiva che raramente si ritrova.

L'apertura è maestosa: "Autogrill" è una delle canzoni più belle del pur ricco repertorio gucciniano. Definita da Jachia "una breve apparizione del magico nell'altrove" il pezzo narra di un amore solo sfiorato, che andrà perdendosi nella pura vacuità dell'immaginazione. Non a caso il luogo dell'incontro è appunto un'autogrill, simbolo di transitività e fugacità. La canzone ha diversi topos espressivi in cui i piani narrativi si sovrappongono freneticamente confondendo l'ascoltatore. L'arrangiamento (chitarra acustica e sax) è sobrio e adatto alle atmosfere surreali e sognanti di questo capolavoro in cui l'ipotetico protagonista viaggia, si sposta, si espone alla sua fantasia, ma in fondo scopre che la vita ci riserva stesse soluzioni per diverse condizioni.

L'album continua con "Argentina", ballata lirica, coinvolgente, questa canzone ci ricorda di come sia impossibile impadronirsi della vera essenza dei posti che si visitano, i quali rimangono in realtà, insolitamente famigliari anche di fronte a stranezze come "la capovolta ambiguità di Orione" che ci prospetta un "orizzonte perverso", inizialmente sconvolgente ma fondamentalmente uguale a quello ci aspetta a casa quando alla mattina ci stupisce il levarsi del sole in quella che in fondo è un' "alba uguale". Ancora l'inutilità del viaggio, dunque. Così come furono inutili i viaggi di Gulliver, che narrando le sue avventure ai nipotini, si accorge di come dei suoi viaggi sia rimasta solo la flebile parvenza racchiusa nella foggia di vuote parole. Proprio questo è il contenuto della terza traccia, dagli echi vagamente rock, e di ispirazione letteraria. Di fatto il messaggio è lo stesso: la composizione si chiude con una certa eloquenza; "da tempo e mare non si impara niente!".

Se è vero che il tempo non ci insegna nulla, è altrettanto vero che insita nella natura dell'uomo è la sua sconfinata curiosità, la sua apertura a porsi nuove domande, a spingersi oltre il conosciuto ed il conoscibile. Ed è da questo spunto che Guccini partorisce la splendida "Shomèr Ma Mi-llailah". Ballata "biblica" dal ritmo ossessivo, in cui Francesco cita un passo straordinariamente umano ed intenso, del libro di Isaia dove viene narrata la storia della "sentinella del sempre". Un ipotetica vedetta posta al limite tra l'umano ed il non umano, il terreno ed il trascendente, (questa condizione viene allegoricamente rappresentata in un topos di una eterna alba) a cui i viaggiatori pongono una continua domanda: "a che ora finisce la notte?". La risposta sarà perennemente la stessa: "La notte ancora non è finita ma il giorno ancora non è arrivato...ma voi che potete, continuate a domandare."

Dunque chiara è la funzione allegorica del brano, il quale affresca l'eterna condizione di incertezza in cui l'Uomo affronta la sua vita, il suo eterno porgersi quesiti di cui mai conoscerà soluzione. Tuttavia è necessario che egli continui a domandare, perché è proprio il suo interrogarsi che lo rende Uomo. In questo modo guccini comprende che "la risposta sull'Avvenire è un una voce che chiederà...".
Sublimi sono anche le soluzioni sintattiche trovate da Guccini, il quale per conferire il senso di ambiguità e dubbio proprio dell'umano vivere, compone un testo ricco di soluzioni antitetiche e ossimoriche ("sono da secoli o da un momento fermo in un vuoto in cui tutto tace" "non so più dire da quando sento angoscia o pace"... "ora capisco il mio non capire"...", "memoria o mito"....ecc).

Totalmente diverso è il profilo di "Inutile", la quale non è altro che una delle classiche pennellate di Guccini, che ritrae con la solita maestria una giornata di consueta quotidianità, in cui racconta la probabile fine di un suo amore, sepolto definitivamente in un marzo piovoso, tra le bagnate spiagge di Rimini. Che dire di questa canzone, se non che è una di quelle che ti fa dire "cacchio, ma questa è la mia storia!", insomma quando scopri che ti ci vesti con le parole di Guccini, ti guadi allo specchio, e scopri che ti stanno benissimo addosso.

Ma in fondo se a noi poveri umani è negato qualsiasi accesso alla conoscenza, qualsiasi segno della "verità delle cose", cosa potremmo fare, oltre che rifugiarci nel perpetuo domandare? Il montanaro una soluzione la da; l'ironia. Gia, l'ironia come unico approccio alla saggezza, al mistero della vita. Perchè Guccini in fondo, da "agnostico spiritualista" quale è, si immedesima nella transitività del soffio vitale, nel perpetuo ed incomprensibile fluire del tempo, nell'inarrestabile e travolgente alternarsi delle generazioni. In fin dei conti come egli stesso afferma: "la vita è una ruota, non si può far altre che riderci sopra". Da questi concetti si arriva alla carnevalesca chiusura, prodotto di quella verve goliardica e cabarettistica a cui Guccini ci ha spesso abituato. "Gli amici", l'ultima canzone, è un classico Blues in cui il narratone ci espone la sua visione dell'aldilà. Immaginandolo come "il solito locale, dove il bere non si paga e non fa male". Un posto tranquillo, umile e famigliare, dove alla fine ci si diverte con gli amici di sempre... in fondo, cosa ci può essere di meglio?

In conclusione, "Guccini" è un disco compatto ma ricco, senza cedimenti, che ci presenta un cantautore straordinariamente creativo e alla presa con tematiche piene di fascino. Si può notare poi, oltre che ad un miglioramento della voce, ora più matura e profonda, anche un leggero abbandono della sonorità folk, in favore di un approccio musicale più elaborato, contaminato dal jazz, dal rock e dal Blues. Tuttavia per apprezzare una totale crescita a livello musicale bisognerà attendere il successivo "Signora Bovary", ma questa è un'altra storia....

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