Correva il 1974 e, dopo l'immenso Radici, Francesco Guccini continuava l'esplorazione dell’animo umano spostando l'ottica dal passato al presente. È, infatti, il suo presente di allora quello che emerge dalle 6 lunghe composizioni che formano l'album; anche fatti del passato o ricordi, vengono filtrati da una riflessione che tende a mettere un punto fermo, a provare un bilancio. È uno dei dischi meno celebrati di Guccini, lo stesso autore pare che l'abbia indicato come il suo meno riuscito, la famosa invettiva di Bertoncelli nasceva da qui... eppure.
Eppure le tracce di questo lavoro emanano una "potenza etica" che a distanza di trenta anni, appare ancora più potente e granitica. Il vocione di Francesco si eleva qui al ruolo di predicatore laico delle miserie umane snocciolando rime e sentenze, dubbi e poesia. È vero, un arrangiamento caotico e percussivo in parte rovina le atmosfere dell'album, ma sono forse proprio quei suoni a rendercelo sospeso nel tempo, non come una nuvola, ma come un blocco di granito sospeso sulla nostra vacuità. Apre l’album il pezzo più famoso della raccolta, "Canzone delle osterie di fuori porta" una pacata quanto amara riflessione sul tempo che passa e trapassa la sua e le nostre esistenze. Il discorso continua nella successiva "Canzone della triste rinuncia" dal testo insolitamente criptico ma il cui senso generale è perfettamente ravvisabile nel titolo. Crescendo le strade si stringono e le porte si chiudono. E’ necessario rinunciare a quello che non si è e non si potrà mai essere. "Canzone della vita quotidiana", che segue, è la lucida analisi delle pochezze della vita umana "con le oasi in ferragosto e per natale" impregnata di fatiche inutili, egoismi ed ipocrisie. In quello che era il lato B del disco originale troviamo altri tre pezzi. In "Canzone per Piero" Guccini supera se stesso regalandoci una poesia in endecasillabi sciolti dedicata più che all’amico Piero al superamento della giovinezza. Tema svolto anche nella successiva "Canzone delle ragazze che se ne vanno". Una menzione speciale per l’ultimo brano della raccolta, generalmente ignorato. "Canzone delle situazioni differenti" è invece l’ennesimo capolavoro dell’album. Una lunga introduzione di chitarra (fatto più unico che raro nella produzione gucciniana) precede l’inizio del cantato dove senza soluzione di continuità vengono mescolati ricordi d’amore e invocazioni di rabbia. E’ uno dei testi più evocativi mai scritti dal cantautore pavanese, capace di alternare immagini piene di dolcezza: "poi scrissi il nome tuo versando piano sulla neve la strana cosa che sembrava vino, mi aveva affascinato il suo colore di rubino: perchè lo cancellasti con il piede?" a trali rabbiosi insolitamente diretti: "O sera, scendi presto! O mondo nuovo, arriva! Rivoluzione, cambia qualche cosa! Cancella il ghigno solito di questa ormai corrosa mia stanca civiltà che si trascina".
Basta, un ultima notazione, quando scoprii questo disco avevo 18 anni, mi piacque, ma non lo feci mio. Riascoltato oggi, alla stessa età che Guccini aveva al momento della scrittura, tutto si fa più chiaro. E’ questo è uno spunto di riflessione che può essere applicato a molta produzione di Guccini: la si ama molto da ragazzi, poi spesso la sia abbandona alla ricerca di qualcosa di più appagante, poi, dopo la trentina, ci si ritornà con l’ umiltà necessaria a comprendere che: "Io credo che sappiamo che è diverso se le cose son state poi più avare, le accetti, tiri avanti e non hai perso se sono differenti dal sognare perchè non è uno scherzo sapere continuare".
Ma questa è un’ altra canzone…
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Altre recensioni
Di Poletti
"Guccini, che tutti additano come simpatico emiliano bonaccione, è in realtà persona sleale e rancorosa."
"Se fosse stato meno ampolloso, pretenzioso, un pò più vivace a livello musicale, meno deprimente, sarebbe stato un ottimo esempio di cantautorato italiano."