2 gennaio 2023

Su RaiNews osservo un servizio da Matera: appare una città animata dal turismo e dai saldi appena iniziati. Tuttavia, la mente corre indietro, a una Matera, sicuramente diversa, nella quale ventimila uomini e animali vivevano insieme in delle caverne, chiamate sassi…

A parlarne in tv è Gian Maria Volonté che, giunto ormai all’apice della sua carriera, cerca di fare esclusivamente dei film che dicano qualcosa sui meccanismi di una società, che individuino in essa un brandello di verità. Spinto dalla stessa passione e da comune militanza, ha dato vita a dei longevi sodalizi con alcuni registi, tra cui quello col napoletano Francesco Rosi, il regista che, dagli anni del liceo, ha fatto dell’impegno politico la propria stella polare; e che, a proposito di verità, per cercarla con un film riteneva fosse necessario collegare origini e cause degli avvenimenti narrati con gli effetti che ne sono conseguenza.

Nel 1979 adattarono il romanzo-documento d Carlo Levi, Cristo si è fermato a Eboli, opera relegata, insieme ad altre del dopoguerra, ad un trafiletto delle letterature scolastiche, ma che risulta senza età, perché gli avvenimenti e meccanismi che vi sono descritti e narrati, sono gli stessi di sempre.

Messo assieme un cast eccezionale, vennero girate due versioni del Cristo, una per il cinema, l’altra per la televisione: la seconda, di cui parlerò, venne mandata in onda sulla Rai, dopo il terremoto che nel 1980 colpì anche i territori in cui si svolge la vicenda.

Si narra l’esperienza vissuta dall’artista torinese al confino in Lucania tra il 1934 e il 1936. Se gli occhi del narratore son quelli del confinato, come da titolo, oggetto principale dell’opera è proprio il paese di Gagliano, che si trova al di là del confine immaginario che passa per Eboli, al di là del quale non sono arrivati, negli anni, né i greci, né i romani, né i piemontesi e, infine, secondo scrittore e abitanti, neppure la redenzione cristiana.

Si vive in condizioni difficilissime. A Gagliano la terra cede perché non ci sono alberi né rocce per trattenerla, così, o ritorna polvere o, quando piove, l’argilla si scioglie e diventa un torrente che si porta via tutto, la chiesa, le case e i sentieri, lasciando solo la disperazione. In queste case, precarie e malsane, la vita degli uomini e delle bestie va avanti sotto lo stesso tetto e nelle medesime stanze, sempre identica.

In questa condizione Levi trova Gagliano. E così si sentono i gagliane, così disperati da non credere in un cambiamento perché lì non si può vivere, ma bisogna andare altrove: prima si andava in America, poi a Napoli, a Roma e poi Africa, al seguito delle imprese del duce.

Un mondo incantato, arcaico e misterioso, abitato da streghe, che incantano gli uomini, angeli, che sorvegliano gli ingressi, monachicchi, gli spiriti dei bambini morti senza battesimo. Per raggiungerlo, il viaggio appare lunghissimo: un treno, una corriera, infine una macchina che si inerpica su una mulattiera che in quel mondo finisce, per comprenderlo bisogna ascoltarlo.

Così, questo complicato mondo contadino, senza fiducia in chi da fuori ha sempre e solo portato via quello che con tanta fatica si era costruito, grazie a una magica alchimia, accoglierà lo scrittore torinese. La convivenza modificherà entrambi, ma, in modo inatteso, più l'artista dei gaglianesi, il quale in breve tempo ha l’impressione di essere sempre vissuto lì.

L’asciutta narrazione di Levi viene restituita impeccabilmente nelle immagini, ma enfatizzata dalle musiche e dalla chiosa finale, in cui il poeta esplicita chiaramente il suo pensiero, secondo cui è oppressivo ogni stato le cui decisioni vengono prese a migliaia e migliaia di chilometri di distanza dai propri cittadini e quindi, se si vuole affrontare la questione meridionale, è necessario che i cittadini, in ogni paese, possano prendere una decisione.

Per questo, più del cinema, è poetica e simbolica la scelta dello scrittore di fare ritorno a Gagliano, per riposare tra la sua gente.

Carico i commenti...  con calma