La verità è che l’amore mi ha bruciato. La verità è che io non ho amato. La verità è che la musica mi ha salvato.

In queste semplici tre frasi presa dal brano “Musica”, c’è Francesco Tricarico, cantautore italiano Milanese, orfano di padre fin dalla tenera età (come si evince nel brano autobiografico “Io sono Francesco”).

La verità è che Francesco ha salvato la musica. Quando nel 2000 viene pubblicato il suo primo singolo (per l’appunto “Io sono Francesco”) il successo è immediato, ma quando 2 anni dopo, pubblica il suo primo album omonimo, pur diventando disco di platino, i singoli seguenti non ottengono il successo del primo.

Come se fosse bastato alla gente il tormentone (prontamente censurato alle radio) “Puttana puttana, puttana la maestra”.

Peccato che qui c’è un grandissimo cantautore, forse il migliore della sua generazione.

Album bambino, di verità e poesia semplice, senza figure retoriche, senza rime, con i versi che a volte, ingenuamente, non stanno in metrica.

Francesco è un bambino mai cresciuto, timido, fantasioso, stupendo: e così in 12 tracce, snocciola la sua vita, tra realtà e fantasia. Testi visionari, a volte sconnessi, come l’incedere casuale di un bambino nel descrivere una cosa, sopraffatto dalla Gioia; la Musica è prevalentemente elettronica, ma con l’inserimento di strumenti classici, soprattutto gli archi.

Ne esce fuori un grandissimo album, probabilmente il suo capolavoro.

Il lato A, con i suoi 6 pezzi, è forse una delle sequenza più belle che il sottoscritto abbia mai sentito fin dai tempi di Astral Weeks. Si parte con la veloce melodia de “Il Caffè” in cui già si delinea il carattere astratto di questo lavoro: “Equinozio di settembre e io sono ancora su plutone”.

La traccia successiva, “Musica", è forse la traccia più autobiografica (insieme al primo singolo sopracitato) e racconta di un bimbo di Marte, che osservava la vita scorrere nel suo alternarsi di gesti quotidiani, mentre ascoltava il mangiadischi cantare. E questo mangiadischi, questa musica, l’ha salvato, l’ha tenuto in vita, ha significato un motivo per cui vale la pena di vivere: inventare (come dice in “Occhi blù”) la musica, così da aver realizzato qualcosa prima di lasciare questo pianeta e reincarnarsi in un fiore.

Come dire che nella vita, nessuno sbaglio o evento negativo, può rovinare la tua esistenza. Può sicuramente segnarla: questo dice nel già citato “Io sono Francesco”, il suo singolo più famoso, in cui si apre, raccontando di come un semplice compito in classe sul padre (aviatore scomparso quando Francesco aveva 3 anni) possa trasformare un allegro bambino, in un bambino triste, che si rifugia nella sua fantasia su un foglio bianco, bianco come un vuoto per 20 anni nel cervello.

Il continuo è di una coerenza sonora esemplare, tanto che si ha quasi la sensazione di aver a che fare con un concept album. Si passa da canzoni più allegre (il singolo “La pesca") a canzoni dai temi forti, come la prostituzione (la magnifica “Aereoplano Giallo”), senza passi falsi, trasmettendo emozioni e poesia.

Un lavoro esemplare e, vista la musica dell’ultimo decennio, resta uno dei migliori album italiani degli ultimi tempi. Forse è meglio ascoltare questo Tricarico piuttosto che cercare di raccontarlo, perché come dice lui, bisogna stare attenti alle parole che possono essere pericolose.

Insomma questo disco è come una seduta di psicoanalisi pubblica, un modo per esortare le proprie paure e dubbi, per aprire davanti al mondo la testa di Francesco, per dare una scintilla di speranza a tutti i bambini come lui, per cercare la “normalità”, spazzando via un infanzia poco felice: e lui lo fa creandosi un mondo tutto suo, che sostituisca quello reale.

Il padre è solo un uomo, e gli uomini son tanti, scegli il migliore seguilo e impara.

I ricordi spiacevoli restano tali finchè vengono ricordati, meglio quindi sostituirli con un mondo perfetto e fantastico.

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