Uccidendo la sua disumanità Kurtz cortocircuita l'inganno di questo belligerante "Dio lo vuole" che trascina quasi tutti nella dannazione. E il "porre fine al suo comando" non è più un eufemismo per cercare d'ingannare il comandamento di "Non Uccidere", ma è proprio un'azione diretta contro chi interpone la sua visione di Regno a chi ha già totale Regno in questa dimensione.

In poche parole giocando trasversalmente col male, attraverso il male mistificato, si mette un po' d'agitazione al maligno dove la dimensione di questo mondo è sua. E redimersi e redimere non fa altro che scatenare eruzioni dove le schegge impazzite fanno schiattare chi deve schiattare e l'andare ostinatamente appresso al credere nel libero arbitrio non fa altro che peggiorare le cose. Non è emulazione del male ma contrasto con un altro "male" vicino alla verità, dove non c'è perdizione: il napalm si combatte col fuoco sacro.

Kurtz evolve la morte dal di dentro di ognuno di noi, accelera il programmato suicidio inconscio che non ci accorgiamo di avere, cambia la frequenza distorta. Sfido io che tutta questa oscenità rompe i cliché del tiriamo a campare della moltitudine, fluidifica il coagulo delle menzogne seminando pericolosi semi di libertà, quella vera, quella da noi stessi: "lascia tutto e seguimi", en bref.

La frantumazione così violenta della crosta di una qualsiasi volontà di potenza è l'estasi di accorgersi di non nutrire nessuna devianza, nostra ed esterna, ed applicare veramente il "non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male", anche se la pippa del "in sæcula sæculorum" si deve gustare come l'efficienza della nostra noia cosciente in confronto all'eternità. Il pianificare qualsivoglia cosa automaticamente dà una funzione a tutto, è lì il problema che produce prevalentemente morti ammazzati. Diffidare della gloria. È una tomba aperta che aspetta.

Ma è proprio il superare anche il delirio della violenza della guerra col puro delirio di Kurtz, ci dà la chiave per sentire l'orrore di scordarsi la propria vanità e ci dà la forza per arrendersi all'umanità raggiunta dal colonnello che è inaccettabile ma irrinunciabile, prima o poi. La trasparenza nel non vedere nessun velo tra la vita e la morte rende il sacrificio del redento soldato inevitabile, perché a Kurtz, dopo aver combattuto e vinto col miserabile dell'essere umano, aspettano altre battaglie, fuori da conte di desiderî financo ultraterreni.

Constatare per Kurtz l'estraneità nel riconoscere di agire al servizio di un bene superiore da parte degli altri, evolve in lui misericordia e sentimenti alieni dove il patologico come sola forma di vita finalmente regna al di là del bene e del male. Resta l'ipnotizzazione a là Herzog di tutti i nolenti protagonisti, di aerei carcassati sopra gli alberi, di riprese agli elicotteri con l'elicottero, a filmare quel maledetto viaggio della chiatta Demeter che vampirizza tutti al contrario sospendendo anemie, a sentire l'odore della pelle umana bruciata dal napalm come quando la nonna sbruciacchiava le ali di pollo sopra la fiamma viva, a scivolare sul fiume immoto in costante compagnia della "secca", a surfare tra la sceneggiatura di John Milius con la speranza dimenticata sulla battigia.

Il capitano Willard, già agitato da fascicoli e dispacci sul conto di Walter E., capitola in quel momento d'osmosi di semidio quando macheteizza il Brando e fa girare al contrario il disco dell'onnipotenza buttando l'arma bianca, "deponendo le armi", dopo il sentore di essere uno strumento di Dio.
Tutto è chaos che permette alla morte di dispensare evoluzione, tutto è una diserzione dal nulla. E questo "nulla" gli permette un ritorno a ritroso sulla barca di Caronte, insieme al surfista, preso per la collottola, ormai panteismizzato su un'onda anomala.

Ci resta giustappunto solamente "the horror" fino al salto che determinerà un cambio d'essenza con la capitolazione nei confronti del tutto accade, il fiume scorre con o senza di noi.

"Che Dio non abbia pietà di noi", questa è la giusta preghiera.

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