Insieme ad altri cineasti americani a cavallo tra gli anni '60 e '70, Coppola fu uno dei "ragazzacci" ("movie brats") della New Hollywood. Uno dei più accreditati, in un "calderone" in cui furono inseriti anche registi del calibro di Scorsese, Allen, Roman Polanski, Terrence Malick, De Palma, Spielberg, Altman e tanti altri che hanno contribuito a definire in maniera strutturale il cinema americano e mondiale degli ultimi quarant'anni. Francis Ford Coppola divenne un regista di culto a partire dal 1972, con il primo capitolo di una delle "saghe" gangster più copiate e apprezzate del genere, "Il padrino". Gli anni '70 sono stati quelli in cui il regista di origini italiane ha saputo condensare la sua ispirazione, partorendo altri lavori che si sono imposti facilmente, come "La conversazione" e "Il padrino II" (entrambi del 1974), fino ad arrivare ad un altro capolavoro di genere completamente diverso come "Apocalypse Now" (1979). Da lì in poi la carriera cinematografica di Coppola è andata in calando, pur restando su dei livelli comunque apprezabili, soprattutto all'interno di una industria a stelle e striscie che iniziava a mostrare i primi distruttivi segnali di asservimento totale alle megaproduzioni e ai blockbuster, destinati a monopolizzare la grande produzione. Negli ultimi anni veri sussulti non ci sono stati e "Segreti di famiglia" (2009), pur essendo un'opera apprezabile non ha lasciato traccia.

In ordine cronologico, l'ultimo lavoro del regista di Detroit è stato "Twixt" (2011), lungometraggio che in Italia ha trovato una distribuzione difficile, per non dire totalmente inesistente. Un film che è stato definito come "horror", ma che travalica un po' tutti quelli che sono gli steccati del genere: a Swann Valley, una piccola cittadina della California, giunge Hall (Val Kilmer), scrittore di romanzi dell'orrore giunto per promuovere il suo ultimo lavoro. Quì conosce lo sceriffo Bobby (un sempre lodevole Bruce Dern) che lo convince a seguire alcuni omicidi che si sono verificati nel paese per prendere spunto e scrivere un libro a quattro mani proprio con lo sceriffo Bobby. Sarà l'inizio di un "trip" all'interno di una realtà indecifrabile, a metà tra l'incubo e il grottesco, luogo in cui riemergeranno i fantasmi interiori di Hall.

"Twixt" prende il nome da un gioco da tavolo che consiste nel congiungere i due lati del campo da gioco, cercando allo stesso tempo di impedire ciò all'avversario. L'impianto filmico segue un po' questo schema, ma è soprattutto interno alla mente del protagonista. Ma al di là di una storia di base che non è tra le più originali di sempre, vanno citati alcuni elementi interessanti: innanzitutto la fotografia, curata dallo sconosciuto Mihai Malaimare e dall'alternanza tra il colore e il bianco e nero, con diverse scene in cui a rimanere nel "colore" sono solo alcune persone e/o oggetti, quasi a volerci mostrare ulteriormente un mondo altro, una realtà inesistente. A queste scelte visive si aggiunge la solita ottima regia di Coppola, non certo uno di quelli che segue il teorema della "regia invisibile". Ma l'aspetto più interessante è l'inserimento nel film di uno degli avvenimenti che più ha sconvolto Coppola: la morte nel 1986 di suo figlio in un incidente tra imbarcazioni. L'evento è riproposto nella stessa forma anche nel film, dove a perdere la vita è la figliola dello scrittore Hall. Coppola mette se stesso nel personaggio di Val Kilmer, che è un uomo turbato e profondamente segnato da quella perdita e che nella sua ricerca della verità ha bisogno di una "guida", quello spretto di Edgar Allan Poe che ci dice come nella vita non esiste realmente l'ispirazione creativa, ma come tutto, anche il suo "Il corvo", sia stato frutto di "un problema matematico". Non fu il caso, il destino o l'intuizione a creare l'opera di Poe: come non rivedere in questo messaggio gli ultimi anni della vita registica di Coppola? Probabilmente Coppola ha già dato tutto quello che poteva dare e "Twixt" non è altro che l'esternazione dei suoi fantasmi passati e presenti.

Un lungometraggio complesso e sfaccettato nella sua brevità, che va visto soprattutto tenendo conto dei messaggi che il suo autore ha inserito. Il film ha cadute di stile (la scena dell'arrivo del vampiro con la moto né è un esempio), così come non è esente da difetti, ma è un'opera che merita di essere visionata. Etichettarlo semplicemente come horror o thriller sarebbe riduttivo, anche perchè Coppola utilizza il genere per trasmettere tutt'altro. Nell'attuale orizzonte cinematografico Coppola tenta ancora di fare cinema e di farlo con un intento autoriale. I risultati non sono più quelli di un tempo, ma a Coppola questo possiamo ancora perdonarlo.


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