Il manifesto di una generazione perduta nella delusione della modernità, il diario di un ex bohemien trovatosi a convivere con i malanni del cuore e gli affanni di un'era definitivamente tramontata: Di Qua Dal Paradiso, fra le principali del canone romanzesco di Fitzgerald, descrive, separandoli seppur non troppo di netto, due mondi, due epoche, due regimi, due costellazioni di vizi e virtù incapaci di vivere a braccetto o - quantomeno - nella più tranquilla e rilassata convivenza civile e sociale. Il Paradiso dell'idilliaca serenità aristocratica, ascetica, sentimentale, perennemente sazia di banchetti a base di romanticismo e poesia, ripiega rovinosamente verso un mesto Purgatorio di sogni infranti, di ricordi spezzati e, soprattutto, di una fresca giovinezza in fase di esaurimento e di metemsicosi nella fredda era adulta della cruda concretezza e della ruvida prosaicità. Primo Novecento, disincanto post Grande Guerra, la pacchia e l'equilibrio dionisiaco-apollineo cedono il passo alla vile realtà della transizione e dell'Uomo accortosi quasi dal nulla di essere carne mortale, caduco come gli esseri che lo circondano: transizione immediatamente accostabile al giovane spensierato costretto ad abbandonare i virtuosismi della sua età e a passeggiare sugli amari marciapiedi del rischio e della minaccia, facendo perennemente attenzione a non inciampare sui crepacci della rovina e della decadenza.
Amory Blaine, protagonista dell'opera, è una sorta di "ereditiere" ante litteram, figlio dell'affascinante Beatrice e rampollo di una famiglia ricca e ben pasciuta, perfetto cartamodello sociale di quell'Epoca Bella nella quale si amalgamavano irrealtà e magia, benessere e divertimento. Sorta di Oscar Wilde versione yankee, amante della poesia e delle percezioni sensoriali in versi, apprendista esteta delle virtù universali e artista dell'iper-umana raffinatezza, Amory decide, dopo un periodo di separazione dal "mondo degli altri", di accedere prima all'istruzione "superiore" e dunque all'Università, più precisamente nella meno rigida Princeton. Dentro la complessa macchina accademica il giovane dandy non può che trovare pane per i suoi denti e, affrancato dal rigido classicismo della didattica, sfrutta le tradizionali reti sociali universitarie per farsi conoscere come eccelso gentle-young e stabilire contatti con i suoi simili. Costellata di alti e bassi, di renitenza allo studio e di piena immersione nell'arte della letteratura, gli anni passati a Princeton rappresentano per Amory la prima delle molteplici fratture fra gioventù sognatrice e contesto adulto, uno spacco che tenderà ad allargarsi con la fine delle sue ricchezze e proprietà di famiglia, gli amori non coronati a causa delle antiche convenzioni sociali, l'alcoolismo, i problemi con la legge e la cronica mancanza di un impiego e di una statica posizione sociale. Al termine del romanzo il protagonista, avvilito dalla fatalità dell'esistenza umana, allontanato e alienato da una giovinezza perduta, cercherà di varcare l'oscura fortezza della maturità costruendo per sé e per nessun altro una sorta di universo economico e spirituale basato sull'ipotesi socialista, l'ultimo tentativo di non perdere quel Paradiso che l'aveva fatto nascere e l'aveva nutrito con prelibati frutti per l'anima e per il corpo.
Il personaggio chiave delinato da Fitzgerald, Amory Blaine, schiude un'ampia gamma di riflessioni e di digressioni utili a coronare il senso ultimo dell'opera. Amory è una sorta di "ultimo romantico", colpevole di essere nato in un epoca di gozzoviglie materiali e spirituali al limite delle proprie possibilità di prosecuzione. A questo barlume terminale di genuino romanticismo, esplicatosi nella scelta di edificare un'esistenza basata sulle suggestioni letterarie e poetiche, si aggiunge un atteggiamento dandy e bohemien: la costruzione di Amory giunge dunque a fondere in un'unico individuo l'ascesi romantica e idealistica e la gagliardezza del giovane esteta che non disdegna i piaceri della vita e della corporeità. Purtroppo per il nostro ragazzo, romanticismo ed estetismo - apparentemente agli antipodi, in realtà due facce di una stessa medaglia atta a raffigurare la fuga dalla mestizia terrena - sono destinati ad essere sconfitti di fronte all'impeto poco rivoluzionario del materialismo e della morte, entità concretizzatesi prima con la guerra e poi con il proibizionismo, la depressione e la povertà. Per Amory il trapasso dal felice astratto alla desolante tangibilità è doppiamente caustico e distruttivo: alla repentina estinzione della fertililità sociale, spirituale ed economica subentra senza soluzione di continuità la frontiera fra gioventù ed età adultà, frontiera perennemente sferzata dal vento della disillusione e dalla burrasca dell'inadeguatezza.
Al pari degli illustri colleghi della "Generazione Perduta", Fitzgerald ha saputo egregiamente illustrare la complessità di un passaggio vitale neanche così semplice da interiorizzare, riuscendo peraltro ad accostarlo - sino a farlo quasi coincidere - con il dramma dell'Epoca Bella tradita dai suoi stessi fautori. Soggettività e oggettività, individuo e società, storia personale e storia di popoli, spirito e materia si sposano in un tripudio di contrasti, fratture e accidenti del tutto normali per il ciclo della storia eppure incapaci di ripetersi in sordina, senza sortire il benché minimo effetto in un essere vivente in grado di pensare e camminare contemporaneamente.
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