Baghdad, città d’oro e di morte, città di giardini e di detriti, di primavere e di fili spinati, città di sangue, di vita e di bombe, città di califfi Abbasidi, di crogiolo di lingue e di genti, di Harun al-Rashid e di titoli di testa dei telegiornali. Come far tacere il cuore mi chiedo, quando le fiamme salgono fino al cielo?
Col cuore in mano. Baghdad, dicembre 1992. Col cuore in mano come allora Battiato non lo sarà più. Prendetevi un’ora o poco più, mandate fuori il mondo, fate silenzio intorno e dentro di voi ed ascoltate, e al tremare dei polsi, quando la sua voce dice di vita e di morte, non chiudete tutto ma trattenete il dolore, dentro alla lucerna del cuore, finché pianopiano non cessa da sé di far male e scalda soltanto. Arrivate fino in fondo. E poi mandate tutto a monte, uscite, oppure no, legate ai polsi il cuore e viceversa. Non uscite, ma rientrate, ardete, ardete soltanto, di quel medesimo ardore che, col cuore in mano, quel giorno, come mai prima e mai più, lucerna peregrina e forte, ardeva Franco, con intorno la guerra la morte i giardini aspersi e il gutturale richiamo di muezzin all’ora in cui cala il giorno, con un ardore che lo spegnersi del giorno e della vita non lascerà fumo né cenere, ma calore soltanto.
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