È Battiato, alle porte del 1982, artista già affermato, osannato: il suo precedente lavoro, "La voce del padrone", detiene già record di vendita invidiabili - risulterà il primo disco italiano ad aver superato il milione di copie, in barba a Mina, a Battisti e a molti altri mostri sacri -, e non a caso per il compositore siciliano si stagliano adesso orizzonti curiosamente complessi, non ancora "orizzonti perduti" come quelli dell'omonimo album di un anno più tardi, bensì quelli più problematici di non ritorno, gli orizzonti superati ma ancora cari della sperimentazione elettronica della produzione anni '70, gli orizzonti esoterici gurdjieffiani di "Le roi du monde", gli orizzonti satirici di "Up patriots to arms": ipotesi affascinanti, come è affascinante la possibilità che il cantautore siciliano riconfermi la dotta commerciabilità di un successo indiscusso come il precedente, ma l'impressione è che, sia per l' unicità di un lavoro come "La voce del padrone", sia soprattutto per un bisogno di rinnovazione musicale cui Battiato non si è mai sottratto, ci si possa aspettare di tutto, e che il piglio commerciale cui Franco ha abituato i fans di bocca meno buona, possa essere in parte sconfessato.
Nasce così l'Arca, quella per eccellenza, disco di transito e transizione di complessità aurea che più di tutti gli altri è sospeso tra vissuto, presente e futuro, breve inciso che parla di presagi e impressioni, lucente haiku: l'estemporaneità del viaggio umano, che fa "scalo a Grado", prima di passare per Harlem o per le strade di Varsavia, è qui non atto di presenza, ma fondamento della dottrina battiatiana; la prosecuzione del "Cammino interminabile" passa con stridore omogeneo attraverso l'inquietante frastuono primordiale de "L'esodo", ove lo sgraziato coro iniziale in latino e tedesco appare come un'apocalittica torre di Babele che è presagio di fine, forse di rigenerazione, forse ancora di rinnovamento.
"Moltitudine moltitudine", locuzione dal sapore colto e parimenti assonante, a riprova della preziosissima crasi tra raffinato e commerciale che distingue buona parte della produzione di Battiato, è il presagio: "L'esodo" sta per compiersi, e tra "Clamori" e "New frontiers", la sfida alla nuova era - cronologica? - incalza. "Scalo a Grado", inciso di forza implosiva, prelude alla "Torre" da cui buttare i contendenti per forzare la selezione naturale per l'Arca, per sfociare poi nel più bello dei quadri settecenteschi che è "Voglio vederti danzare", dove l'immagine delle "coppie di anziani che ballano vecchi valzer viennesi", sembra voler dare all'angosciosità del disco un'impronta di redenzione che è affidata alla reminiscenza.
Anno 1982, nuova sfida di Franco Battiato... gli "Orizzonti perduti" attendono.
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