Premetto che gli artisti comunemente così definiti sono troppi, e oggigiorno putroppo sembrano moltiplicarsi. A questo punto mi sorge un dubbio: ma chi disprezza Franco Battiato cosa altro può cercare nell’arte? E’ questo un argomento che potrebbe trattare mille altri campi, ma qui mi tocca rimanere nell’ambito della forma d’arte da me più apprezzata e (per)seguita: la Musica. Che ho detto? Musica? Ops…scusatemi per l’arcaismo, oggi è conosciuta come “esigenza di un rapido consumo, all’interno di un preciso ambito commerciale di domanda e offerta”.
Fortunatamente alcuni tralasciano questo ambito, sebbene rispetto al passato siano sempre di meno.
Chi nella musica cerca una compagna, più che una compagnia, ben sa che alla fine degli anni’60 il panorama si è incredibilmente allargato proporzionalmente a come, dopo circa un decennio, si è ristretto (sì, il progresso); d’altro canto lo stesso progresso ci consente di affacciarci a quel panorama anche se (come me purtroppo) non lo si è vissuto dal vivo. Prima di tornare alla recensione del disco rammento, a chi vuole affinarsi le orecchie, che in quel decennio c’è solo da perdersi e provare a raccapezzarsi data la varietà delle fonti, quindi è insensato o quasi allontanarsene.

Le eccezioni come sempre ci sono, e, nell’ambito italiano, forse l’unica ha nome Franco Battiato, l’Artista (consentitemi la maiuscola, almeno per distinguerlo tra i molti) che ha dimostrato come anche il pop-rock può essere oltre che orecchiabile, complesso e, perché no, colto e impegnato.
Il quinto disco della “serie” pop-rock di Battiato esce nel 1983 col titolo: “Orizzonti perduti”. Dal punto di vista tecnico va considerato l’impiego dell’elettronica in maniera a dir poco perfetta e tecnologie sempre più avanzate, non a caso è stato lui a trascinare l’avanguardia nello Stivale.
Ma poiché parliamo pur sempre di pop-rock, stando al periodo va anche considerata la continua oppressione da parte del mercato anglosassone nonché la comparsa del formato “CD” (In Italia proprio dal 1983).
Va ricordato anche che qui, come nel precedente “L’arca di Noè”, Battiato va alla ricerca di atmosfere più meditative, cosa poco riscontrabile nei suoi primi tre lavori pop-rock; infine, per chi non se ne fosse accorto, i testi di Battiato sono sì complessi e raffinati, ma trattano le cose più comuni della nostra esistenza.
Apre il disco “La stagione dell’amore”: qui forte è il messaggio di non rimpiangere le occasioni perdute, ossia il “tutto può succedere”, la stagione dell’amore non appartiene solo al nostro passato.
Segue una sorta di osservazione e descrizione del “Tramonto occidentale” (la famiglia è in crisi-bandiere fuori dalle macchine) e di come l’artista riesce ad estraniarsene (passeggiare lungo il corso-il piacere di una sigaretta).
“Zone depresse” si prefigge lo stesso scopo, con uso ben calibrato di ironia (dammi un po’ di vino con l’idrolitina).
La quarta traccia è forse la più soggettiva: in “Un’altra vita”, infatti, Battiato ci descrive quasi spossato ciò che lo infastidisce e pone come unico rimedio un’altra vita.
Ma è “Mal d’Africa” il pezzo che più coinvolge: può sembrare quasi di vederlo, il padre che si pettinava dietro quella finestra di ringhiera, e sentirlo, quell’odore di brillantina! Ricordiamo qui anche la citazione di Lennon (stand by me).
Ritorna saggia e pungente l’ironia in “La musica è stanca” (fantastico l’aneddoto di Newton!).
Meno significativa è “Gente in progresso”, che tra l’altro sembra discostarsi dal resto dell’album e inoltre vi si coglie una sorta di rassegnazione.
Chiude il disco la definitiva “Campane tibetane” dove l’Artista forse ribalta le sensazioni della precedente e in qualche modo si riallaccia a “La stagione dell’amore” sottolineando che tante cose belle del passato possono ancora darci gusto (tornerò, ritornerò), siano esse campane tibetane o jingle bells.

Se volete che dia una valutazione da 1 a 5 a questo disco, evitando di cadere in paragoni con le altre opere della discografia di Battiato e di esserne influenzato, senza alcun dubbio merita un 5.
Se poi i paragoni li vogliamo fare con gli altri cosiddetti “artisti”, il 5 diventa un bel 5 in neretto. 

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