Califano è uno che, "puttaniere, drogato, sbandato", se le cose meglio imbastite sono quelle in cui si percepisce la stretta aderenza tra il personaggio e quel che professa, allora, già solo per questo, andrebbe premiato.

Sarebbe facile lavarsene le mani e unirsi alla folla di chi, da un angolo di comoda ignoranza, innalza il dito e risolve la diagnosi della personalità solo tacciandola di laide nefandezze.

Ma Califano è un personaggio complesso; sicuramente complessato. È uno di quelli che, se ti arrovelli a ricostruirne un quadro psicologico, rischi di diventare tu stesso folle, perché certe condotte, l'una diametralmente opposta all'altra, trascendono da qualsivoglia linearità logica. Di fronte a questo schema è naturale che ci sia chi innalzi bandiera bianca, con duplice possibilità: o ignorando totalmente "il caso clinico", oppure unendosi alla mandria di chi, non capendo, risolve lanciando spergiuri.

Infine c'è chi, suo malgrado, non resiste alla sfida dell'intellizione e problematizza quanto più gli è possibile, cercando di redimere quello che la sua eloquenza emotiva gli permette di redimere.

Lasciatemi dire che Califano era un poeta. Sì, lo era. Perché tutti i poeti soffrono della loro ipersensibilità; dentro di loro hanno esplosioni di odio e poi di pianto, di Amore e poi di fame e di sete...

I poeti hanno paura del silenzio e hanno bisogno di cantare per contrastare i loro cronici sentimenti di vuoto.

C'è una canzone di Califano che credo esprima al meglio la sua poetica: "Amore sacro, amor profano":

"Amore sacro amor profano in me si fondono
Ma non basta per farmi pregare
anche io sono appeso a una croce manca solo l'altare"

Ci sono poeti tra i vagabondi, gli sbandati, i puttanieri ed i drogati, che cercano di stabilizzare la loro instabilità frustandosi. Come se il dolore tangibile potesse dare una forma e, dunque, una migliore comprensibilità a quello interiore.

"Ciò che gli uomini chiamano Amore è ben poca cosa, limitata e labile, se comparata a questa ineffabile orgia, a questa santa prostituzione dell'anima che si dona tutta intera, poesia e carità, all'improvviso che soggiunge, allo sconosciuto che passa"

E, se lo dice Baudelaire...

In definitiva, vorrei dire che "Er Califfo" era un "poète flaneur". Un bambino (e non pensate che con questo voglia intendere "puerile". Voglio, piuttosto, indicare un'anima nietzschiana), tutto riverso nei propri acutissimi sensi, che scopre e riscopre la vita: dopo una giornata passata a raccogliere impressioni, fattosi compositore e paroliere, dall'alto del suo...letto, trasfigura esteticamente quanto ha vissuto.

Tutte le donne che Califano ha amato devono essere state per lui come "La Bellezza" baudelairiana; quella bellezza che è la vita stessa, condensata in mille carni di donna e in poesia:

"Io sono bella, o mortali! come un sogno di pietra,e il mio seno, sul quale, l'uno dopo l'altro, tutti si sono accasciati, è fatto per ispirare al poeta un amore eterno e muto come la materia"

E che ci hai detto di "Ti perdo"?

Nulla, se mi accuserete di non aver toccato alcun brano in particolare; tutto, se comprenderete che la musica va ascoltata e che, per capirla, così come una qualunque altra opera che abbia un supporto testuale, basta comprendere la poetica del suo autore.

Qualcosa, ad ogni modo, ve lo dico:

Ascoltate "Non me portà a casa" e intuirete (sapete quanto è saggia e geniale l'intuizione?) quel che Franco di sé, infondo, intuiva...

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