Non si contano ormai i film che pretendono di impressionare il pubblico sciorinando un cast stellare ma occupandosi di una trama che lascia il tempo che trova, a volte stupida con effetti che non ti viene neanche voglia di definire speciali e con dialoghi inconcludenti. Scorri i nomi delle interpreti di "8 donne e un mistero" e pensi "Minchia!". Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Fanny Ardant, Emmanuelle Beart, Danielle Darrieux, Ludivine Sagnier. Manca solo Morricone alle musiche e la presenza di Nostra Signora di Pompei in sala per sentirti obbligato a vederlo. Armato di curiosità e da quella piccola dose di diffidenza che mi sono già occupato di motivare, sottopongo il quarto film di François Ozon (Qui in veste di regista e sceneggiatore e in passato autore di vari cortometraggi) al mio giudizio.

L'ordinaria vita di un villino immerso in un innevata provincia francese viene scombussolata dall'omicidio di Marcel, padrone di casa nonché capo di una famiglia di sole donne. Ognuna di queste avrebbe una motivazione per averlo ucciso, ma lungo il corso della vicenda lo spettatore intuisce che l'indagine alla scoperta del colpevole non è certo il punto cui vuole arrivare la pellicola, bensì il filo conduttore attraverso il quale emergono una serie di rancori repressi, insoddisfazioni, frustrazioni, egoismi. Così la bella e saccente moglie della vittima, Gaby, rivela alla sua figlia maggiore che Marcel non è suo padre, quest'ultima le confida che è incinta ma solo alla sorella minore riferisce che il padre è Marcel stesso; Augustine, sorella di Gaby, si sente in una continua condizione d'ospite in casa della sorella e quando la madre ammette di aver ucciso il loro padre anni addietro la donna piange la possibilità sfumata di vivere una vita nell'agio e nel conforto di una figura paterna; Pierrette, sorella della vittime, odiata da tutte per il suo passato promiscuo, intrattiene una relazione segreta con  la governante Chanel che dichiara la sua omosessualità e la cameriera Louise dimostra un attaccamento sempre più morboso nei confronti della sua padrona. Alla fine della pellicola si viene a sapere che l'unico conoscitore di tutto ciò era proprio Marcel che dinanzi a tale intelaiatura di legami falsi e perversi aveva accettato la proposta della figlia minore, Catherine, ossia di farsi credere morto per poter evadere; ma quando la piccola di famiglia svela tutto alle parenti affermando la sua volontà di portare via da loro il padre e tenerlo solo per sé, il pover'uomo capisce che non c'è alcuna via d'uscita e opta per il suicidio.

Anche nei suoi film precedenti come "Gli amanti criminali" e "Cinque per due - Frammenti di vita amorosa", Ozon ha voluto dissacrare il concetto di legame sentimentale e affetto familiare. Tuttavia più che una semplice ripetizione di un tema già affrontato in precedenza o una stereotipata satira nei confronti della classe medio borghese, paradossalmente soffocata dal benessere e a sua volta soffocatrice degli istinti più genuini, il film risulta essere una vera e propria riflessione sull'amore e tutti i personaggi ne incarnano una espressione. C'è l'amore adulterino, quello omosessuale, quello sadico, filiale, incestuoso e nessuno si realizza in modo completo e soddisfacente ma, al contrario logora qualsiasi individuo e i rapporti che esso instaura con altri. Un lungometraggio che cita molto senza assumere una dimensione precisa. Pierrette e Gaby discutono d'amore come in un simposio platonico, tutte le attrici interpretano dei brevi passi musicali che sintetizzano la loro condizione esistenziale e li definiscono perfettamente e inoltre il regista non dimentica di stemperare i tono drammatici con trovate divertenti, talora grottesche.

Quello che Ozon riesce a ricreare è un'atmosfera sospesa fra la realtà più cruda (La componente che ha la meglio sul finale) e la necessità dei personaggi di esternare il loro lato più naturale ed intimo (L'indugiare della telecamera sul leggero pianto di Fanny Ardant). A supportare la bellezza del film si aggiunge una scenografia curatissima, un'impostazione teatrale come suggeriscono i tendaggi rossi, i colori sgargianti, il testo stesso e la stilizzazione dei personaggi che sembra strizzare l'occhio al teatro greco con le sue maschere, ognuna delle quali presenta una peculiarità che permette loro di essere ben identificate. Impossibile annoiarsi in questo continuo susseguirsi di colpi di scena che scandiscono un ritmo serrato ma che non appare mai arronzato.

Alcuni hanno voluto parlare di misoginia da parte di Ozon, una critica nei confronti dell'universo femminile manipolatore e in continua prevaricazione rispetto a quello maschile ma radicalizzare questo atteggiamento critico potrebbe rivelarsi ingiusto nei confronti di una pellicola che punta ad evidenziare fra trovate spassose e caricature l'impossibilità di realizzare un amore felice senza fare filosofia spicciola.

Il y n'a pas amours heureux...

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