1955. Bill Haley ha da poco inciso "Rock around the clock", Chuch Berry s'inventa il tormentone "Johnny B. Goode" e Elvis Presley si accinge a diventare famoso grazie alla casa di produzione Sun. È dunque l'epoca del rock'n roll a stelle e striscie, della sovrastazione della musica sulla parola, della nascita di un genere.

Nonostante questo incredibile sconvolgimento musicale, esce in America (e successivamente in Europa) il secondo album di un giovane attore (peraltro già vincitore di un Oscar) di nome Frank Sinatra, grandissimo crooner e enorme profeta dell'anti-rock'n roll, capace, con pochissimi vocalizzi, di colpire al cuore e disarmare qualunque ascoltatore (verrà denominato "The Voice", la voce, e mai epiteto fu più azzeccato!). L'album si intitola, per l'appunto, "The Voice" ed è forse, nonostante il grande successo commerciale di metà anni Sessanta, il disco più bello (senz'altro il più emozionante) fra tutti quelli incisi da zio Frank.

Si tratta di un lavoro sublime, dolce, mai urlato: Frank canta leggiadramente, in maniera quasi suadente, e scandisce, con serietà e precisione, ogni lettera e ogni sillaba. È un concentrato eccezionale di musica e parole, un crooner capace di passare, con estrema facilità, dal blues allo swing, dal pop al jazz. Efficace e carismatico, Sinatra riesce a conquistarsi una buonissima fetta di pubblico che forse, visto l'amore popolare che il rock'n roll sta ottenendo, non avrebbe mai avuto voglia di ascoltare un album così lieve e così elegante. Notevole, oltre alla voce di Frank, anche l'intero complesso musicale (batteria, fiati, pianoforte) che sembra fare da sfondo a canzoni portentose e bellissime, ma che invece è parte dominante di questa perfetta (e, ahimè, rarissima) unione fra musica e parole, sillabe e melodia, leggerezza e eleganza. "The Voice" è un disco favoloso, ormai non più in commercio (salvo improbabili riedizioni), che andrebbe, nonostante tutto, perlomeno recuperato dalle cantine e dai meandri della memoria.

Brani eccezionalmente leggeri si alternano a composizioni complesse e sezionabilissime: "I don't know why", "Paradise", "Laura", "Fool rush in", "That old black magic". Ottima anche "Lover", genialmente arrangiata da George Siravo (italoamericano intimo amico di Frank Sinatra). Su tutte però, spicca la celeberrima "Over the rainbow", micidiale capolavoro swingante, entrato a pieno diritto nella storia della musica (vanta un numero infinito di citazioni e imitazioni). È forse l'unico brano in cui Sinatra s'improvvisa cantante, e gli riesce benissimo (Frank Sinatra sarebbe forse il caso di definirlo un crooner non cantante, almeno nella sua accezione tipica). È bene ricordare che tutti i brani presenti in "The Voice" sono, in realtà, composizioni precedenti al 1955. "Over the rainbow", ad esempio, è datata 1945, mentre "(I got a woman crazy for me) She's funny that way" è un vecchissimo brano datato 1944, rivitalizzato dallo stesso Sinatra qualche anno più tardi. Ai tempi di "The Voice" Sinatra era un maniaco della perfezione: curatore sublime di qualsiasi composizione e qualsiasi spartito musicale, Sinatra è stato per moltissimi anni l'emblema della perfezione musicale. "The Voice" è un disco perfetto, pressochè magnifico, senza nè sbavature nè banalità. Perfezione e precisione che Sinatra smonterà, purtroppo, a partire dai primissimi anni Sessanta quando, grazie a successoni non impeccabili come "Stranger in the night" e la pomposa "My Way", rischierà di far crollare inevitabilmente il proprio mito e, nel contempo, il proprio monumento.

Per ora Sinatra è solo un ragazzaccio un pò cresciutello, pulito e perbene, intrallazzato con la mafia (inutile negarlo) che ha però un pregio fondamentale e notevole: saper cantare pur non essendo, in verità, un cantante al cento per cento. E anche da questo si riconoscono i campioni.

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