I migliori tesori sono quelli difficili da trovare. In alcuni casi è il tesoro che trova te.
Fino a qualche mese fa non avrei neanche immaginato la goduria che mi avrebbe potuto trasmettere il Free Jazz e, certamente, non sarei mai andato in cerca di questa primizia rara.
Anche l'urlo può essere musicale, addirittura melodioso. In verità, l'eccitazione che può dare un urlo è spesso incredibilmente più grande di quella che può trasmettere una melodia.
Questa musica è grandiosa, è quanto di più carnale e diretto si possa esprimere tramite le vibrazioni sonore. Risulta impossibile non rimanere scossi e turbati ta tale uragano.
Unity suscita amore supremo, oppure odio, disprezzo; non è un disco che può risultare semplicemente piacevole. Molti direbbero che non si tratta nemmeno di musica; di certo è un orgasmo sonoro, è il risultato di uno sforzo immane - fisico e mentale - degli artisti.
Musica colta, in quanto richiede concentrazione e predisposizione, musica popolare perché è il risultato della rabbia afroamericana e perché il pubblico partecipa all'opera: si sentono urla, canti, fischi, gli ascoltatori ballano, si eccitano, non riescono a stare fermi.
La cosa più sorpendente è che i protagonisti di quest'opera sono quasi completamente sconosciuti.
Frank Wright è uno degli strumentisti più intensi in cui io mi sia mai imbattuto, un seguace dell'ultimo Coltrane.
Al piano c'è Bobby Fe; ascoltare i suo pugni, le sue gomitate sulla tastiera è emozionante, ci si sente riempiti da quella cascata di suoni.
Il solismo al basso di Alan Silva permette di scoprire l'estrema espressività dello strumento.
Muhammad Ali è protagonista di uno sforzo immane: quasi un'ora di drumming potentissimo.
Un gruppo che non risparmia energie e idee.
Il disco, frutto di una registrazione live del 1974 offre la possibilità di concedersi un'ora di follia.
Il concerto è diviso in due parti; nella prima metà vengono esplorate a fondo le possibilità espressive degli strumenti; la seconda metà - probabilmente la più interessante - è caratterizzata dai continui richiami alla tradizione del Blues e delle bande itineranti che poi porteranno al Dixieland, soprattutto nel lungo solo di Few, poi però si rimane profondamente turbati dalle urla del clarinetto basso e della voce di Wright.
Quella mattina del 1° giugno era calda prima che Wright gettasse il primo grido nel suo sax, poi divenne torrida.
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