Qualche settimana fa un utente si scagliava contro coloro che esaltavano lo Zappa "canzonettaro" accusandoli di fare un cattivo servizio al genio del baffone autore di  pagine strumentali degne dei maggiori compositori contemporanei. Come direbbe er Pomata: questa è la stronzata più grossa da quando l'uomo ha inventato il cavallo.

Frank Zappa è un fottuto genio proprio come il nostro Totò, il quale è ancora più grande nei film di cassetta (qualche titolo? "Totò, Peppino e la dolce vita " o "Il monaco di Monza", ma c'è solo l'imbarazzo della scelta) dove può dare libero sfogo alla sua creatività senza rimanere intruppato nelle pastoie di un copione limitante. Chi non riesce a capire questo non potrà mai entrare nell'universo zappiano, e non sarà mai degno nemmeno di annodargli il codino proprio come non era degno neanche di portargli la chitarra sul palco monsieur Jean Luc Ponty, che se ne andò protestando di non essere stato assunto per musicare storie di piedi puzzolenti  o di ragazze che se la facevano leccare dal cagnolino.

Insomma sappiamo che nel 1988 Zappa cominciava a pubblicare la serie di dischi "You Can't Do That On Stage Anymore", che raccoglie i migliori nastri delle registrazioni live in ordine sparso, e sappiamo pure che non saliva su un palco da almeno quattro anni. All'improvviso decide di rimettersi in tour per mezzo mondo con il buon motivo che si sentiva un idiota a perdere tempo con una bacchetta in mano mentre gli altri si divertivano a suonare. Chi ormai disperava di vedere la sua Stratocaster elargire assoli al pubblico pagante fu sorpreso, soprattutto gli italiani memori dei casini successi nella tourneè dell'81, di aver ancora una volta la possibilità di goderselo dal vivo. Eggià perché ad un concerto con Zappa non si va a fare gli intellettualoidi ma a gozzovigliare, anche quando prende le note dal "Terzo concerto per pianoforte" di Bartok o dal "Bolero" di Ravel. Succede di perdere ogni freno inibitore, soprattutto quando finalmente riesci a capire, come ha fatto lui, che è meglio l'imperfezione di musicisti che hanno fattezze umane piuttosto che l'infallibilità di una fredda macchina (il famigerato Synclavier 900). Fattezze che corrispondono a quelle di brutti ceffi schedati da tempo nel suo archivio personale: il fidato (ahimè, solo per lui) luogotenente Scott Thunes al basso, Ed Mann e Chad Wackerman a percuotere le pelli, i fratelli Fowler alla tromba e trombone, i suoi alter ego vocali Ike Willis e Bobby Martin. In più un manipolo di nuovi assunti ai fiati e soprattutto il bravo Mike Kenneally alle tastiere e chitarra di rinforzo.

La gioia di avere sottomano una piccola orchestra rock di valore spinge il baffo a scrivere partiture ancora più cazzone del solito. Per rendersene conto basta ascoltare un divertessement come "Rhymin' man", che è un pretesto per accoppiamenti musicali contronatura, roba che passa con disinvoltura dalla citazione della "Marcia Funebre " di Chopin al riffone di "My Sharona" dei Knack, dal tema di "Missione Impossibile"  alla festosa "La Cucaracha". Ed è ancora la polemica l'essenza di questa raccolta di brani live dalla provenienza più disparata e poi riassemblati come un puzzle in studio (ad esempio "Dickie's Such An Asshole", con la vecchia conoscenza Riccardino "Bucodiculo" Nixon, nei suoi sei minuti scarsi è composta da frammenti provenienti da almeno cinque diversi live sets tra Usa, Francia e Svezia) eppure di una linearità sconcertante, come se tutto il disco provenisse da un unico trascinante concerto. Essenza polemica perché, con centosei brani in repertorio, zio Frankie ha lasciato apposta fuori dal disco tutto il periodo delle Mothers: una pernacchia verso i feticisti convinti che la roba buona l'avesse fatta solo con Estrada e compagnia bella (per modo di dire...viste le brutte facce di quella banda). E allora non sentiremo ancora una volta Madge chiamare bestia suo marito ("Harry, you're a beast") e né vedere l'acqua diventare nera ("Let's Make The Water Turn Black"). Ma godremo del valzerone country&western di "Elvis Has Just Left The Building" con Presley a mezzo servizio tra l'ufficio sulla Terra e il posto che gli compete a destra del Padreterno; dello sfottò ("Why Don't You Like Me?") a Michael Jackson sul ritornello di "Billie Jean"; di quella "What Kind Of Girl" riesumata dal mitico concerto al Fillmore del 1971 e qui abbellita dal falsetto frocio e dai coretti doo woop; di una stupenda e "tenera" love song come "Any Kind Of Pain" dedicata alla donna ideale degli americani: bionda, occhi blu, labbra rosse e ...testa vuota! Qui l'assolo del baffone dilaga come una pallina da flipper impazzita tra il pubblico che dimostra di gradire. Riesce perfino a far passare per simpatico Sting, presentatogli nel pomeriggio a Chicago e invitato a salire sul palco per una versione jazzata di "Murders By Number" (preceduta da uno straordinario assolo della tromba di Walt Fowler) che i Police se la sognano. 

Che dire ragazzi, c'è molto materiale inedito ma soprattutto ci sono tra le più belle stupid song dell'ultimo Zappa, che massacra ancora una volta l'America dei Nixon, dei Regan e dei Bush, del generale medico C.Everett Koop e la sua crociata contro il fumo indiretto, dei telepredicatori  reazionari alla Pat Robertson, della gente che crede ancora di vedere Elvis a zonzo per la città! Se anche voi siete tra quelli che ritengono le somme pagine zappiane, dirette da maestri dell'avanguardia contemporanea come Kent Nagano, sporcate da queste canzoncine strictly commercial...  ebbene girate al largo da Broadway! Se invece pensate  che nessun altro possa più fare queste cose on stage allora venite fratelli e sorelle:  l' eterea/eterna  "Outside Now" proveniente dal garage di Joe è l'ultima commovente testimonianza della logorrea chitarristica di zio Frankie su di un palco.

 E fu al Palasport di  Genova il 9 giugno 1988.

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