Igor Stravinsky (1882-1971)

Edgar Varèse (1883-1965)

George Gershwin (1898-1937)

John Cage (1912-1992)

György Ligeti (1923-2006)

Karlheinz Stokhausen (1928)

Frank Zappa (1940-1993)

(Pierre Boulez): "Come musicista Zappa era una figura eccezionale, perché apparteneva a due mondi: quello della musica pop e quello della musica classica. E non è una posizione comoda".

No, comoda non lo è di certo, ma sicuramente contiene potenziali evoluzioni che se captate, seguite e afferrate, possono portare a disegnare un nuovo mondo musicale che ti lascia a bocca aperta. Davvero.

Prendiamo un disco come questo, per esempio. Ascoltiamolo con calma e ragioniamoci un po’ sopra... allora, dunque... ok, ok, non si distingue facilmente che tipo di sonorità sono presenti... però in effetti.. beh, si sente un po’ di tutto, voglio dire, si captano decine e decine di aperture sonore e influenze musicali. Però non sono staccate le une dalle altre, cioè, sono come sovrapposte: ... si! sovrapposte! Ecco cosa c’è: si captano impercettibilmente tutte le varie facce che compongono l’ opera, ma alla fine ciò che colpisce è la superba maestria con la quale sono fuse.

Una maestria prossima alla perfezione. E’ questo il punto: abbiamo davanti un incantevole unicum di miriadi di note e colorati pentagrammi che segue la sua strada in maniera continua e maestosa. Non uno sgarro, non un errore. Niente giri di parole inutili. I ritmi sono migliaia, freschi, vivi, e nessuno stona con un altro. Perfetto. Un fiume musicale assolutamente perfetto. E incredibilmente semplice, incredibilmente semplice! Che dire del lavoro fatto dalla mente di Frank in quest’opera? Che la grazia del genio musicale qui è uscita completamente dal suo cantuccio e camminando decisa ma rilassata si è diretta verso lo studio di registrazione con una sigaretta in mano e con una sorriso sornione sulla faccia?...

"Hey Frank, dove vai?” “Ti dirò, Mother Ray, vado in studio. Ho buttato giù qualche pentagramma e vedo se esce fuori qualcosa di buono… … chiama le alte Madri...” .

Madò, che gran paraculo che eri, Francè! Che dire di un pezzo come “The little house I used to live in” ? Che è il capolavoro di tutta una carriera? Che è la summa definitiva dell’arte “totale” zappiana, il tutto in un continuo e spasmodico movimento sonoro in cui ogni cosa appare perfettamente chiara? Allora… Si parte con un piano. E’ di Ian Underwood. Si continua... Pammm! Partono chitarra, fiati, tastiere: il viaggio è definitivamente iniziato... Ta ra ra ra ttta! Ta ra ra ra ttta!... si continua, fiati, chitarra, poi fiati, tastiere... sotto c’è sempre quella doppia batteria martellante... Dai Jimmy!... Po pom! Po pom!... Dai Art!... sembra che abbia un’anima propria... Si arriva dunque AL capitombolo orgasmico e senza fine, che parte acido e lento e poi scatta insieme alle batterie: è il violino di Harris: elettrico e senza tempo, senza tempo. Uno dei più begli assoli mai ascoltati con ogni strumento... segue la lucida follia di Preston al piano... e poi si giunge a quel capolavoro zappiano che è la chiusura con organo elettrico e tastiere: sembrano mille le note che escono dalle canne, mille!.... Delirio.... applausi.... fiuuu!

Sia chiaro: questo era solo un sottile accenno ai Gloriosi 18:41 minuti della canzone, un sottilissimo e insignificante accenno... Che dire del giocoso titolo del disco? "Burnt Weeny Sandwich". Era un tipo di panino che Frank amava spesso sgranocchiare. Ma fatemi capire... le due fette di pane americano sarebbero i due pezzi doo-wop di apertura e di chiusura del disco, e l’interno saporito di carne e mostarda è la parte prelibata tutta da gustare? Allora siamo lì, con fameliche mascelle pronte a dare grandi morsi. Tranquillo Frank, non ne lasciamo neanche una briciola. Finiamo tutto, dal piano ancestrale di “Aybe Sea” allo splendido tema omonimo del disco, fino a quella perla assoluta da brivido che è l’assolo di chitarra in “Holiday in Berlin” . Finiamo tutto.... "Un compositore americano sperimentale per orchestra, formata da ogni tipo di strumento, che suona la chitarra elettrica con la sigaretta accesa fissata su di essa..." Che dire di più?

Frank Zappa ha unito molteplici mondi musicali, e questa non poteva che essere una cosa logica. Davvero. La poliedricità dell’animo umano, le sue contraddizioni , ma diciamolo, anche la sua semplicità e genuinità di fondo, sono tutte parte di questa musica, che ha come parola d’ordine Libertà. Solo chi cerca può arrivare a qualcosa d’ importante, e Frank lo sapeva: bisogna pensare, non credere. Poi il resto viene da sé. Questo è tutto. E se a qualcuno viene da storcere il naso sentendo una musica che abbraccia simultaneamente rock, classica, jazz, avanguardia, rumorismo, sperimentalismo, kitsch-bandistico-demenziale, blues, pop, uso di synclavier e dio solo sa cosa, beh, fatti suoi! Frank Zappa resta comunque uno dei più grandi Compositori del 900. Punto.

Un piccolo appunto: questo è l’ultimo disco delle Mothers of Invention con Zappa (1970), ed uscì postumo dopo il loro scioglimento. Mi pare giusto citare uno per uno tutti i componenti che con perfetta coralità e grondante energia hanno tirato su questo granitico monumento di note sotto la guida del maestro baffuto. E che hanno, più in generale, sin dai tempi di quel terremoto che è stato “Freak Out”, scritto una gloriosa pagina nella storia della musica. Tanto di cappello, Madri! America Drinks e Goes Home… 

Frank Zappa / guitar, organ, arranger, composer, keyboards, vocals, producer - Don Preston / bass, piano, keyboards - Jimmy Carl Black / percussion, drums - Lowell George / guitar - Roy Estrada / bass, vocals - Gabby Furggy / vocals - Bunk Gardner / horn, wind - Don "Sugarcane" Harris / violin, vocals - Jim Sherwood / guitar, vocals, wind - Art Tripp / drums - Ian Underwood / guitar, piano, keyboards, wind - Elliot Ingber/ guitar (from freak out)

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