Frank Zappa - 2012 - Finer Moments

No, nessuna operazione commerciale atta a sfruttare per l'ennesima volta brani sentiti e risentiti, nessun remix di rimasugli e ritagli degli anni che hanno preceduto la dipartita del grande Frank Zappa.

Questo è l'album di cui si vociferava da tempo. Quel lavoro inedito che tutti aspettavano trovandosi, immancabilmente, in mano tutt'altro.

Il disco è composto da materiale, registrato in parte live in parte in studio, a cavallo tra il 1967 e il 1971. Tutto è stato montato ed editato con il solito piglio certosino dello stesso Zappa, quando, obbligato a stare in studio a causa di un fan troppo stupido che salito sul palco lo spinse nella buca dell’orchestra, iniziò a sperimentare sui nastri che aveva a disposizione. Lo stile di assemblaggio ne fa una sorta di tentativo pionieristico della modalità, rimasta sopita per molti anni e che avrebbe avuto la sua esplosione con “Sheik Yerbouti” e, successivamente, con la monumentale raccolta dei “You Can't Do That On Stage Anymore. Per qualche motivo, ancora piuttosto oscuro, ma probabilmente derivante dalla non eccelsa qualità determinata dal registratore a nastro a quattro piste, questo lavoro, preparato per uscire nel 1973, rimase nel cassetto per tutto questo tempo e ora, grazie alla politica commerciale instaurata dalla famiglia e dall’etichetta a essa legata, eccolo qui.

Il lavoro si snoda su un doppio CD per circa ottanta minuti di musica zappiana in pieno stile travolgente e dissacrante a cui, da sempre, l’autore ci ha abituati e, bisogna ammettere, che a circa 20 anni dalla sua morte, continua a regalarci emozioni e sorprese come nessun altro. Particolare non da poco e chiaro indizio dei contenuti musicali dell’opera è la copertina: sullo sfondo del disegno dell’artista che l’ha curata si vede una stilizzazione del disco “Burnt Weeny Sandwich” del 1970. In effetti stile, musiche e impasti sonori rimandano parecchio a quel lavoro e, più in generale, al periodo Mother a cavallo tra i due decenni.

Veniamo ai brani che, come detto, sono fusi in un tutt’uno separati solo da interventi di parlato dello stesso Zappa, per la quasi totalità derivanti da stralci live. Predisposti per l’uscita in doppio vinile, entrambi i CD chiudono con una lunga side track: “Uncle Rhebus” per il primo e “Subcutaneus Peril” per il secondo. I due lunghi brani, specie il secondo, un poderoso e fluido jazz rock registrato interamente alla Carnegie Hall di New York nel 1971, danno modo di assaporare, come sempre, la straordinaria forza degli spettacoli live zappiani, con gag, assoli, cambi di ritmi e atmosfere, dotati di un’enorme fantasia stilistica unita a capacità tecniche chiaramente fuori dall’ordinario. Ricordo, a tal proposito, che era di quel periodo l’annuncio economico di Zappa che più o meno recitava: “Cercasi strumentisti di straordinaria levatura tecnica e dalla scarsa igiene personale”.

Particolare, nella scaletta del primo CD la “Mozart Piano Sonata in B flat” seria e puntuale nella prima parte ma totalmente degenerata nella seconda parte, con aggiunta di voci, risate, applausi e rumori di varia natura.

Nel secondo CD domina decisamente la parte sperimentale e Zappa si deve essere divertito non poco a manipolare i nastri live usati come base per scorribande noise di ogni tipo. In sostanza tutto quello che nel vinile avrebbe dovuto essere il lato 3, è coperto da questa pazza avanguardia sperimentale, in particolare la minisuite rumoristica di “Squeeze It, Squeeze It, Squeeze It” si pone al vertice parossistico della follia, con tre minuti davvero allucinati. La chiusura con la citata “Subcutaneus Peril” solleva davvero il cuore e dà respiro alle mente, dopo la pesante richiesta di attenzione della parte precedente.

Considerati i vari periodi a cui fanno riferimento le registrazioni anche i line-up risultano piuttosto disomogenei, ma restano chiaramente impressi i lavori alle tastiere di Don Preston, il fenomenale sax di Ian Underwood, il complesso e sciolto drumming di Aynsley Dunbar, le fughe bassistiche di Jim Pons,

E’ pur vero che i suoni non hanno la solita perfetta perfezione zappiana, ma tutto è assai ben leggibile e mai si scade a livello di bootleg o di semplice sufficienza. Giudizio finale: su 80 minuti di lavoro ci sono 50 minuti assolutamente di grandissimo e geniale Zappa, 20 minuti di buon sperimentalismo e una decina di minuti forse un po’ esagerati e quasi evitabili, ma, tutto sommato, ci voleva!

p.a.p. - Sioulette

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