Credo che la seconda metà degli anni settanta fu per Frank Zappa un importante momento di passaggio, un evidente spartiacque tra quello che fu il suo primo e stratosferico decennio musicale, e quello che sarebbe venuto dopo: i famigerati anni ottanta. Dopo il meraviglioso "One Size Fits All" e gli onesti "Bongo Fury" e "Zoot Allures", avvenne una strana inversione di tendenza: non più la solita e graditissima vagonata annuale di dischi, ma un insolito e lungo periodo di silenzio, di circa un annetto e mezzo. Crisi creativa? Il buon Frank si stava avvicinando ai quaranta....

Che la folle e magica ispirazione dei primi anni stesse calando? Qualcuno direbbe: e infatti il disco successivo fu un live! Come a insinuare, insomma, che più o meno tutti i musicisti, quando capita di attraversare un periodo di crisi, danno alle stampe un live. Chiamiamola ancora di salvezza, ok?.... Beh, sia chiaro che per me ancore di salvezza come "Zappa in New York" sono comunque e sempre le benvenute, checchè ne dica qualche critico. La realtà è un'altra, però: il nostro eroe baffuto stava pianificando e preparando un progetto che raccogliesse tutte le sue composizioni più interessanti e particolari di quegli anni, tutto cioè il materiale che era rimasto inedito nei cassetti.

Quel progetto avrebbe dovuto chiamarsi "Lather" e sarebbe potuto trovarsi negli scaffali dei negozi di dischi già a suo tempo, senza dover aspettare il 1996. Ma le case discografiche, si sa, non sono sempre così lucide e attente (nel senso che sono spesso infastidite da handicap mentale, con tutto il rispetto per gli handicappati), e così quel progetto fu sfaldato in quattro dischi separati: il già citato "Zappa in New York" (1978), "Studio Tan"(1978), "Sleep Dirt" (1979) e "Orchestral Favourites" (1979). Dopo questi quattro, sarebbero venuti gli epocali "Sheik Yerbouti" e "Joe's Garage", ma questa è un'altra storia. Veniamo al nostro "Studio Tan": con quattro brani in tutto, questo è un disco senza dubbio interessante e molto gradevole, ma il sottoscritto si affretta a dire che non lo ritiene un capolavoro assoluto come decine di altri lavori dell'artista.

E' certamente un must per qualunque amante di Zappa, però; in primis per la revisione di "Music for electric violin and low budget orchestra" che Zappa aveva composto nel '69 per Jean-Luc Ponty per l'album "King Kong". Qui il brano è riadattato per chitarra e, appunto, per la nostra orchestra a basso costo. E il risultato non è pomposo come si potrebbe immaginare: i passaggi suonano freschi e vitali, e tutto è perfettamente al suo posto. Ricordiamo che il brano scritto per Ponty fu forse la composizione più ambiziosa e "colta" di Frank Zappa, e non è un caso che sia stata ripresa e riproposta: l'atteggiamento musicale "alto" sarà sempre e comunque presente in tutta la carriera di questo grande artista, fino agli ultimi lavori. Ancora meglio è la finale "RDNZL" (8:13), assolutamente eccezionale, con continui cambiamenti di ritmo e idee melodiche brillanti. Magistrale come sempre Duke alle tastiere, bellissimo l'assolo di chitarra di Zappa. Forse il picco dell'album. "Studio Tan" è caratterizzato dalla presenza di molti musicisti, che cambiano a seconda del brano, a dimostrare che i vari pezzi furono composti in periodi diversi, e a spiegare anche meglio come questo disco e gli altri tre lavori del periodo furono comunque calderoni di idee e di suoni, messi insieme col passare degli anni. Troviamo quindi Thompson, i due Fowler, Ruth Underwood, Duke e Humprey. Ma anche Don Brewer ai bongos, Eddie Jobson alle tastiere, Max Bennett al basso e Davey Moire alla voce. Questi ultimi sono presenti nello scherzoso e gradevole "Lemme Take You To The Beach" (2:44), sorta di piccolo brano surf/ doo-wop molto velocizzato, con tanto di coretti come piacevano a Zappa.

Il lungo brano d'apertura è "The Adventures Of Greggery Peccary" (20:32), sorta di piccola operetta rock con i tipici spunti zappiani di tipo demenziale. La voce di Zappa, alla quale si alterna quella di Duke, narra la storia e le avventure del protagonista per quasi tutta la durata del brano, con in sottofondo un tappeto sonoro con molti buoni spunti e tante vocette divertenti. Alla lunga può risultare non del tutto fresco e diretto, forse complice qualche momento meno riuscito e quella continua voce narrante. Però globalmente l'intento è buono, e ci sono un paio di episodi davvero interessanti, in cui le voci, la batteria e i suoni si incastrano perfettamente, creando bellissimi passaggi musicali. Zappa è sempre Zappa, no? E anche questa composizione è l' ennesima dimostrazione della volontà di creare sempre nuovi puzzle musicali, senza mai dimenticare la lezione "colta" della musica classica. Si può ritovarla qui in "Studio Tan", si ritova sicuramente nell'ottimo "Orchestral Favourites" (dove Zappa chiamerà di nuovo la storica Abnucleal Emuukha Electric Orchestra con cui collaborò già in "Lumpy Gravy"), e in molti altri progetti.

Come avevo già detto, quello degli anni '76-'79 fu un grande periodo di "passaggio" e forse di ricerca di una nuova orientazione, molto più sentita e necessaria che in altri momenti della sua carriera; ma Zappa, come già avvenne in altri periodi di "passaggio", porterà con sè tutti gli innumerevoli elementi artistici e tutte le "lezioni" acquisite precedentemente, arrivando così a varcare pronto e sorridente la soglia degli anni ottanta, anni in cui si alterneranno concerti stratosferici ed eccezionalmente divertenti, follie al synclavier, forti attacchi alla società americana reganiana e alla stupidità del parental-advisory e molto, molto altro ancora. E la cosa bella è che alla composizione di brani come "Valley girl" e "Cocaine decisions" si alterneranno le produzioni e le direzioni di progetti classici con Boulez e Nagano o in favore di Edgar Varese. E tutte le dure e lunghe nottate di quegli anni passate a trascrivere sul pentagramma il suo mondo fantastico, già volano verso gli appalusi scroscianti dopo l'esecuzione di G-Spot Tornado con l'Ensemble Modern ("The Yellow Shark", 1993).

In quell'occasione Frank Zappa portava sulla testa un cappello colorato da giullare e, nonostante tutto, aveva un gran sorriso sulla faccia. Coperto da due bei baffoni grigiastri.

Applausi.

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