Nel 1972 Frank Zappa pubblica due dischi e un live (in verità non eccezionale) dimostrando di essere tornato a livelli eccelsi dopo un breve periodo di appannamento e di crisi creativa. Pochi mesi dopo lo splendido "Waka Jawaka" esce dunque un altro disco di grandissimo spessore in cui l'artista americano riesce come sempre a far convivere splendidamente generi musicali quasi agli antipodi come il jazz, il rock e addirittura il funk della title-track grazie anche a una corposa sezione fiati guidata da Sal Marquez e alla presenza di grandi strumentisti quali George Duke(tastiere) e Aynsley Dunbar(batteria).
Il disco, forte di una invitante copertina e di una magistrale produzione che mette in grande risalto un sound decisamente corposo e compatto, a oltre trent'anni di distanza dalla pubblicazione pullula ancora di freschezza e di assoluta maestria, e si erge come dimostrazione plausibile del genio assoluto di un musicista che ha sempre diviso in due la critica. "The Grand Wazoo", il pezzo più lungo dell'intero album, coinvolge da subito soprattutto grazie al suo ritmo trascinante che ci permette di apprezzare al meglio i suoi oltre 13 minuti e i superbi assoli di vari musicisti che assecondano in toto la natura quasi interamente strumentale di un progetto ad ampio respiro che prosegue con la lenta "For Calvin", una stupid-song caratterizzata da una apertura affidata a un curioso esperimento vocale e dominata prima da un aria quasi rarefatta e ipnotica e in chiusura da uno stridente romanticismo sonoro.
"Cletus Awreetus-Awrightus", dedicata a un immaginario imperatore del funk, è senza ombra di dubbio il momento più divertente del disco e presenta nel finale delle astutissime parodie vocali tipicamente zappiane, oltre ai soliti precisissimi virtuosismi. In "Eat That Question" il padrone assoluto è il piano di Duke che accende la luce su un vortice di suoni davvero suggestivo, mentre tutto è pronto per la perla assoluta che risponde al nome di "Blessed Relief" in cui a sorprendere l'ascoltatore c'è un tappeto sonoro magistralmente sostenuto da fiati e pianoforti che forniscono al tutto un deflagrante sapore notturno che calza a pennello con una ideale conclusione di un disco che nel finale riprende dunque alcune caratteristiche del disco precedente senza mai dimenticare di fornire ispirazione futura ad altri musicisti (alcune soluzioni mutuate sotto forme compositive decisamente diverse ispirano senza dubbio il Waits di "Foreign Affairs").
Non mi rimane che consigliare vivamente l'ascolto di questo capolavoro che nobilita la già straordinaria e sterminata produzione zappiana
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