Prima un incendio alla fine del 1971 al Casino di Montreaux (dove Zappa e i Mothers of invention perdono la loro strumentazione) e poi uno spettatore alterato (secondo il quale Zappa aveva fatto occhi dolci alla sua donna) che al Rainbow di Londra spingendo giù dal palco Zappa gli causa una discreta serie di fratture e lo costringe alla sedia a rotelle per un bel po’ di tempo.

Queste le premesse ‘storiche’ all’album di cui voglio parlarvi, un fantastico album, talmente bello che è difficile iniziare a scrivere, tanta è la voglia di rendervene partecipi. Nonostante queste disavventure Frank Vincent Zappa non perse la sua inesauribile vena creativa e anzi la forzata limitata mobilità probabilmente ne aumentò l’ardore compositivo che lo portò a sfornare album come il presente 'Waka Jawaka' e il successivo 'Grand Wazoo' (ma per tanti versi questi due album possono essere considerati un opera unica) in cui Zappa assemblò (mai parole meno adatta) una grande band (che arriverà anche a 20 elementi con 'The Grand Wazoo') di cui riporto tutti i nomi a mo’ di ringraziamento:
Tony Duran (slide guitar, vocal), George Duke (ring-modulated & echoplexed electric piano, tack piano), Don Preston (piano & Mini-Moog), Sal Marquez (Many trumpets & chimes, flugel horn, vocal), Mike Altschul (baritone sax, tenor sax, piccolo, bass flute, bass clarinet), Bill Byers, Ken Shroyer (trombone & baritone horn), Joel Peskin (tenor sax), Erroneous (Alex Dmchowski) (electric bass, fuzz bass, vocal), Aynsley Dunbar (drums, washboard, tambourine), Chris Peterson, Janet Ferguson (vocal), Jeff Simmons (Hawaiian guitar & vocal), "Sneaky Pete" Kleinow (pedal steel solo).

L’album si apre con uno dei capolavori assoluti della discografia zappiana, “Big Swifty”, una cavalcata strumentale in cui chitarra, tromba e piano si inseguono tessendo fraseggi che difficilmente si possono definire solo jazz, rock, blues o altro, sono semplicemente la ‘fusion’ di tutto questo, un flusso sonoro che rapisce e delizia per tutta la sua durata di 17 minuti e 23 secondi. Non si può non straniarsi da tutto e da tutti quando si presta ascolto al racconto sonoro che chitarra, fiati e piano estaticamente regalano in modo frenetico e gioioso, gli assoli che ogni strumento regala non sono accompagnati silentemente dagli altri strumenti, questi anzi conversano e si intrecciano in modo sublime immergendosi e riemergendo dalle acque del fiume di musica che ci si ritrova a guadare.
Your mouth”, il secondo brano, è invece un pezzo blues che apparentemente non ha molto a che fare con la prima traccia (e col la titletrack finale), ma questa è solo una superficiale impressione, è fatto largo uso di fiati e anche la parte vocale non sfigura anche per l’essere sorretta da un tessuto strumentale di grandezza eccelsa. Si tratta di un altro capitolo della ironia zappiana, il protagonista vorrebbe sparare alla sua donna che parla (e mente) troppo (Your mouth is your religion)…

"It Just Might Be a One Shot Deal", la terza traccia, è anch’essa un blues-country cantato (ricorrere a queste categorie fa indubitabilmente pena, me ne scuso) il cui testo è una sorta di ‘carpe diem’ zappiano . Mi permetto di spendere qualche parola sull’assolo di chitarra che parte dopo 2 minuti e 8 secondi: giocoso e sognante. Si giunge quindi all’ ultima traccia, "Waka Jawaka", dove l’uso abbondante di fiati non oscura assolutamente le oniriche evoluzioni degli altri strumenti, a cominciare dalla performance al sintetizzatore (il Mini-Moog) di Don Preston subito seguita da un altro assolo alla chitarra di quelli che non dimentichi mai e che ti lasciano col sorrisino ebete stampato sul viso ogni volta (delle centinaia) che lo ascolti.
Vale lo stesso discorso di ‘fusione’ strumentale fatto per 'Big Swifty', anche questo brano indubbiamente resta tra le perle senza tempo della musica tutta. Come suggerisce anche la stessa copertina, questo album viene inserito nel filone di 'Hot Rats', col quale ha indubbi legami di continuità, ma io credo che il carattere orchestrale e la più marcata polifonia renda "Waka Jawaka" (e il suo gemello 'The Grand Wazoo') una produzione assolutamente originale (aggettivo che per Zappa va incontro a sicura ma inevitabile inflazione).

Concludendo, lo scopo di questa recensione non è quello di spendere inutilmente parole su un genio assoluto della musica del 900 (e di sempre), il mio unico intento è quello di indurre chiunque legga queste parole a procurarsi in qualsiasi modo questo eccezionale album: si possono infatti spendere tutte le parole di questo mondo per definirlo ma solo ascoltandolo si può capire che razza di capolavoro sia.

Peccato duri solo 36 minuti.

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