"Alla fine, dal cielo fattosi scuro, comincia pure a piovere". E si, mai smania di questo "piove sul bagnato" di Francuzzo riempì d'aspirazione noi assetati d'indistinguibile.

Più che moderno, quello che Kafka mette in forma di scritto è eterno. Ci conduce "finalmente verso una concordia umana". C'è un'inevitabilità dell'assoluto che ci lascia frastornati dalla purezza di vedere l'invisibile che ci circonda, da parte del praghese. La matericità dell'immateriale proposto è insondabile con i soli strumenti di analisi letteraria: "Solo quando entro nella mia camera sono un po' pensieroso, però senza che abbia trovato, salendo le scale, qualcosa per cui valga la pena stare a pensare" (da Tornando a Casa).

Diciamo che lo scrivere per Franz è un mezzo per comunicare cose non note che però influenzano pesantemente la nostra esistenza, e la comunicazione è stupefacentemente efficace perché nasce da una condizione di mancanza di dualità. Kafka scrive solo per se stesso, e senza il riflesso di una convenzione menzognera di scambio di idee viene a mancare al lettore l'appiglio giustificatorio di un'eventuale comunella di confessioni: "I Nessuno... è chiaro che sono tutti in frac" (da La Gita in Montagna).

Questo è un gran regalo che potrebbe sembrare spietato nel non concedere "speranza", ma è proprio questo la forza assente di Kafka: scoperchiare la conquista della noia del Paradiso dove la solitudine è assoluta, dove questa tabula rasa è sinonimo di verità, dove la realtà non si misura più con le lancette dell'orologio. La velocità assoluta dell'immobilità del "tutto accade": "Perciò la soluzione migliore è ancor sempre quella di accettare tutto... insomma sopprimere con la propria mano ciò che resta della vita come fantasma, cioè moltiplicare l'ultima quiete tombale e non lasciare esistere nient'altro al di fuori di essa" (da Risoluzioni).

E Franz vede... Vede solo lui le cose che influenzano la vita, "obliquo nell'aria" ha la vista psichica, ha superato la vanità del maestro interiore, ha evoluto l'essenza del fermare a comando i pensieri. Vive costantemente nel non-pensiero e comunica con l'esterno rimanendo nel suo aldilà: "Valuto il mio passato in rapporto al mio futuro, ma li trovo entrambi eccellenti, non riesco a dare la preferenza a nessuno dei due e devo biasimare soltanto l'ingiustizia della Provvidenza, che mi favorisce in tal modo" (da Tornando a Casa).

La pretesa dell'utenza che nell'usufrutto di una lettura canonica vorrebbe "capire" dove si va a parare con questi "racconti", è tenera nella sua ingenuità. È dura accettare una volontà di potenza (del Kafka) che si sviluppa verso la scomparsa. Ecco che lì ci adattiamo frettolosamente nella costruzione di cliché esistenziali, catalogazioni edotte, angoscie sparse, che ci giustifichino delle cose che noi ancora non siamo capaci di capire, tanto siamo dentro le possessioni.

Il mondo del "taccola" (kavka in ceco) è il mondo reale dove racconta tutto quello che c'è oltre la facciata deviata della rappresentazione materiale: “Io ho potentemente assunto il negativo del mio tempo che mi è certo assai vicino e che io non ho il diritto di combattere, ma, in certo modo, di rappresentare... Io sono un fine o un principio”.

Un sole eclissato per noi, ma per lui costantemente luminoso dove è Virgilio per se stesso e si guida nel basso astrale, avendo per giunta facoltà di liberare entità intrappolate nel limbo dei desiderî terreni e instradarle verso quel tunnel di liberazione dall'attaccamento materiale: "Scoperto! Dissi io, dandogli un colpo leggero sulla spalla" (da Smascheramento Di Un Imbroglione).

La continua constatazione dell'inesistenza del libero arbitrio trova conferma nella scelta irremovibile di non fare conoscere all'esterno le sue visualizzazioni della realtà nella marcata raccomandazione all'amico Max Brod di bruciare tutte le sue carte al momento della sua dipartita corporale. Il coraggio inaudito della disobbedienza del Brod ci fa partecipi di una rivelazione avanti anni luce sulla, all'epoca, novella inquisitoria psicoanalisi freudiana, dove la portata del messaggio kafkiano ancor oggi è in divenire, visto la messa in discussione radicale del sistema vita in cui ancora tutt'oggi siamo immersi.

L'osmosi con la strada indicata da Franz verso l'armonia passa necessariamente da percorsi personali non proprio "rose e fiori". Nel dipanarsi dei suoi scritti chi si imbatte in questo flusso estraniante sente proprio che la terra manca sotto i piedi, non è dato modo di usufruire di aiutini identificatòri, ci si può avvicinare a questa solitudine solo con la propria solitudine: "Comunque, gridai, se lei mi porta via il mio fantasma che è di sopra, è finita tra noi, per sempre.
Ma stavo solo scherzando, disse lui, tirando indietro la testa.
Allora va bene, dissi io, e a quel punto in effetti sarei potuto andare a passeggiare tranquillamente. Ma poiché mi sentivo così solo, preferii salire e mettermi a dormire" (da Essere Infelici).

C'è una cronaca astrale dell'immediato che ci circonda e in cui viviamo e Kafka riesce a raccontare questa sospensione che in sostanza non è possibile comunicare. Nell'accezione lui riesce a farlo, è questo il mostruoso della faccenda, l'oscenità pornopsichica prodotta strappa il velo maya, lo scoperchiamento di queste verità invisibili ma esistenti e fondamentali, rimane non sopportabile dalla maggioranza: tutti riconoscono la verità, ma pochi riescono ad accettarla.

Ecco forse il perché il boemo, "der Deutsch spricht" (a mluví také česky), non voleva divulgare i suoi scritti. Il tempo era acerbo per proporre siffatta potenza alienante? La sua reticenza e pudicizia erano puntate alla salvaguardia di qualcosa di particolare? "Volevo raggiungere la città a sud, della quale si diceva nel nostro paese: Là c'è certa gente! Pensate non dormono!
E perché no?
Perché sono matti.
I matti non sono mai stanchi?
Come potrebbero essere stanchi, i matti?" (da Bambini Sulla Via Maestra).

Tantoché il diventare vegetariano da parte di Franz marcava ancor più la dissociazione da una realtà che ingannava se stessa con una rappresentazione egoica di trionfi effimeri costruiti su altari fatiscenti. Franz Kafka è talmente nell'aldilà armonico della realtà che ha superato anche lo step del passaggio nelle sue rovine, dove non contempla più l'umiliazione come fonte di rinnovamento e crescita, venendo a mancare in lui qualsiasi forma del considerare: "Non c'è niente, a ben riflettere, che induca a voler essere primo in una gara" (da Riflessioni per Cavalieri).

Un vuoto inaccettabile ma indispensabile, dove fa capoccella l'orrore di dover ricominciare tutto "diversamente", ma dove risuona la consapevolezza di ammettere che solo questa è la via per uscire dalla "caverna". La patetica lacrimuccia di autocompiacimento di una condizione di dolore à la "sono piccolo e nero" è spazzata via da un'asetticità sacra nel non compiangere una condizione umana che è completamente in balìa dei sussurratori astrali parassitarî.

Siamo in presenza di un vero Esoterista che nel suo athanor rifugge la brama aurea per ardere di trascendenza divina dove, consapevole di essere un fratello della condivisione dei 108 anni, che si chiudeva nel 1908 (e si è riaperta nel 2016), dicevamo dove dà l'ultimo colpo di coda con un impensabile contributo allo Spiritismo che all'epoca teneva banco, dove nei giorni nostri le problematiche "invisibili" sono trattate sempre più verso l'individuazione psichica dei pensieri indotti e indagate nella messa in discussione della provenienza dei pensieri che crediamo nostri: "La mia bolla cammina con me. Io vedo solo ciò che vede lei... C'è qualcuno che decide tutto quello che faccio... e non sono io" (Post Nebbia).

Cose impossibili da scrivere e lui le ha esposte... Ci credo che non le voleva far conoscere, troppo forti, troppo incredibili, troppo... È sconosciuta letteratura, incommentabile, se non da un parallelismo animico di chi è collegato coscientemente con l'unità. E la dedica a Felice Bauer sulla prima copia del libro "... per conquistarla con questi ricordi di vecchi tempi infelici", accendono catarsi sul superamento del superuomo dove un "macula non est in te" regna sovrano nell'agognata assenza conquistata.

"Undici libri di "Meditazione" sono stati venduti da Andrè (libreria praghese). Dieci li ho comprati io. Vorrei proprio sapere chi ha l'undicesimo".

FRANZ KAFKA

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