Questa è, indiscutibilmente, una recensione "natalizia". Del resto, la festa in questione ha sempre avuto un rapporto privilegiato con la musica, se pensiamo alle tante canzoni scritte appositamente per essa o al gran numero di composizioni strumentali che alla stessa si sono ispirate. E allora, magari alla vista del nostro albero di Natale addobbato, indossiamo la cuffia, accendiamo il lettore e mettiamoci all'ascolto di un. . . "Albero di Natale" sonoro. Sì, perchè si chiama proprio così questa suite del grande ungherese Franz Liszt interpretata con assoluta maestria da Leslie Howard.

Sulle caratteristiche del compositore (e sulla bravura dell'interprete che ha inciso praticamente ogni sua singola nota pianistica) già mi sono soffermato in una precedente recensione, e non sarò ripetitivo: mi preme solo sottolineare che ci sono ritornato su con piacere, perchè il nostro a me sta parecchio simpatico: il motivo si trova nelle parole del critico musicale Giorgio Pestelli, che così ha scritto in un suo bellissimo libro chiamato "Gli immortali":

"In una galleria di immortali Franz Liszt meriterebbe di entrare innanzitutto per la sua straordinaria generosità umana ed artistica; non lasciò nessuno senza aiuto, sostegno o incitamento(Wagner stesso riconobbe il debito)e quando si trattava di raccogliere fondi per opere benefiche e culturali, Liszt era il primo a rimboccarsi le maniche e a darci sotto con tournéé e concerti; gli passò per le mani un fiume di soldi, ma alla fine restò con il pianoforte e qualche libro. Lo stesso nell'arte; contemporaneo dei romantici, non era un romantico, ma un decadente anzi tempo, un intellettuale che sentiva la scissione tra idealità e processi formali; eppure di tutta la musica dell'800 fu inventore, profeta, specchio, chiosatore e grande reporter".

 

Capito l'antifona? E quando raggiunge i vertici di questa suite, c'è solo da sentirlo ammirati: le dodici miniature pianistiche che la compongono sono assolutamente favolose, piccoli capolavori di architettura ed espressività: al loro interno si può trovare davvero una vasta gamma di elementi, dallo struggimento romantico ( mai languido nella circostanza) dei suoi colleghi Chopin e Schumann al virtuosismo funambolico ( qui amalgamato perfettamente con la struttura sonora) che ha contraddistinto l'attività artistica dell'ungherese. Certo, ascoltando questa meraviglia sorgono spontanee un paio di domande: come è possibile che un simile gioiello della letteratura pianistica non sia stato per niente frequentato dai grandi interpreti? E come lo avrebbero letto un Arturo Benedetti Michelangeli o uno Sviatoslav Richter? Ahimè, la risposta a tali quesiti è destinata a restare un grande silenzio, ma è un silenzio nel quale, per contrappasso, diventa assordante il suono di Leslie Howard, questo artigiano della tastiera che rende perfettamente l'atmosfera della suite sin dalle prime note di essa: il "Canto antico del Natale", tratto da un lavoro del compositore seicentesco Michael Praetorius, ci introduce su un tempo di marcia lento e solenne nell'atmosfera del 25 dicembre e dintorni, prima di lasciare il passo al "Santo Natale", una melodia basata anch'essa su una vecchia indefinita canzone e digitata perfettamente: quasi una "pastorale" per il clima di assoluta pace e serenità che trasmette all'ascoltatore. "I pastori al presepio" arrivano accompagnati da una dolcissima cavalcata pianistica, con un gran lavoro della mano sinistra di Howard. "La marcia dei tre re magi" è uno splendido arrangiamento del conosciutissimo canto "Adeste Fideles". E lo scherzo "Illuminando l'albero" è una straordinaria rappresentazione sonora delle palle di Natale che si accendono e si spengono sull'albero in questione, così come il frammento "Concerti di campane" è un'altrettanto incredibile rappresentazione sonora. . . . del suo stesso titolo. Ma Liszt è un grande poeta della tastiera, e sono lì a testimoniarlo la sognante "Berceuse", l'evocativa ninna-nanna "Campane della sera" e la superba ballata "Tempi antichi", pezzi che sono costruiti mirabilmente anche dal punto di vista armonico. Sono stato un pò lunghetto, ma vi assicuro che ne valeva la pena. . . . . .

P. S. E non ho speso neanche due parole sull' altra composizione presente sul dischetto, la "Via crucis" scritta originariamente per organo e coro e qui presentata in una versione pianistica asciutta e rigorosa che rimanda già al Novecento musicale: del resto, Debussy si è abbeverato alla fonte lisztiana, relativamente all'ultimissima parte della sua produzione.

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