Con il mio primo contributo in questo illustre de-recensoreo consesso intendo sommettere alla vostra attenzione due fra i vertici assoluti del camerismo schubertiano, ovvero la ben nota Fantasia per pianoforte "Wanderer" D 760 e la poco frequentata, ma non per questo meno affascinante, Fantasia per violino e pianoforte D 934, entrambe declinate nella tonalità di do maggiore.
Il genere della fantasia, è bene precisarlo, rappresenta la tipologia di composizione che, liberando l'estro dell'autore dagli angusti confini della forma, consente a quest'ultimo di spiegare la propria arte in somma purezza, correndo allo stesso tempo un rischio di non poco momento. Svincolato dall'ossequioso rispetto delle regole di "grammatica compositiva", infatti, il compositore si ritrova nudo al cospetto di chi ascolta: l'architettura formale, spesso vissuta dai più ispirati come serraglio della creatività, può altrettanto frequentemente assumere il ruolo di generoso salvagente per i mestieranti del pentagramma, aiutandoli a nascondere esiti dozzinali dietro il paravento di una struttura preordinata. Possiamo quindi immaginare il genere-fantasia quasi come una ordalia del compositore, il muro di fuoco di fronte al quale la musica rivela la sua autentica grana: finissima, come nel caso di queste due gemme, oppure più grossolana.
Scendendo ora nel dettaglio delle due composizioni, riscontriamo come esse abbiano in comune, oltre alla tonalità di do maggiore, una impostazione di tipo "sinfonico", in ragione di complessità, equilibrio, gamma di colori, ricchezza timbrica e coerenza interna. Entrambe le fantasie, poi, sono caratterizzate dal devastante impatto emozionale, vera e propria cifra stilistica del nostro Franz, al punto tale da risultare eccezionalmente immediate e coinvolgenti anche per palati meno adusi alla frequentazione del repertorio classico, e cameristico in particolare. Nel contempo orecchie più allenate potranno agilmente rinvenire, su questi due lavori, l'ingombrante ombra beethoveniana, con espresso riferimento alle sonate cicliche dell'ultimo periodo del Maestro di Bonn, nonché intuire la palpabile influenza prodotta sulle successive generazioni di compositori, come Liszt, Schumann e Brahms e, perché no, lo Schoenberg dei primi lavori.
L'esecuzione che vi propongo vede seduto alla tastiera l'impeccabile Andràs Schiff. Il pianista magiaro, dopo anni di studio, incisioni e concerti, spesso in chiave monografica, incarna oggi lo stato dell'arte nell'esecuzione del repertorio pianistico del classicismo viennese. Le sue performance si connotano infatti per totale rigore esecutivo, magistrale gestione di tempi, dinamiche e volumi, oltre che, è superfluo accenarvi, per l'assoluto dominio tecnico; il tutto senza arenarsi nelle secche di vane e autoreferenziali pratiche di filologia estrema. Lo Schubert di Schiff, insomma, si libra ad altezze vertiginose, eguagliato, ma non superato, da quello di eminenze indiscutibili quali Alfred Brendel o Wilhelm Kempff. Notazione a margine: Schiff si sottrae, in questa esecuzione, al monopolio dello Steinway and Sons Grand Coda (da sempre lo standard dei pianoforti a coda, per voce, funzionalità meccanica, timbrica rotonda, capacità espressive e potenza di emissione), prediligendo un meraviglioso Bosendorfer Imperiale, apparentemente più duro da suonare, ma in grado di restituire ancor meglio il timbro viennese grazie ad una tavolozza di colori e ad una morbidezza pressoché impareggiabili (non a caso dal vivo Schiff si presenta sempre con entrambi i pianoforti, alternandoli a seconda del repertorio). Nella Fantasia D 934 il pianista ungherese opera in tandem con l'archetto di Yuuko Shiokawa, il cui violino etereo, diafano e cristallino tesse trame di un lirismo celestiale, colpendo dritto nel cuore dell'anima. Nessuna parola sulla pulizia dell'incisione e produzione ECM: è meno banale dire che il sole illumina e riscalda, lode eterna a Manfred Eicher.
La Fantasia D 760 "Wanderer" (Il viandante), così denominata per via della connessione motivica (spesso breve e appena accennata) di ogni sua sezione con un precedente Lied di Schubert, appunto intitolato "Der Wanderer", si apre con un Allegro con fuoco, ma non troppo, in ritmo dattilico, che imposta la temperie dell'intera composizione. Infatti, appare subito chiaro che la malinconica e struggente dolcezza, con la quale il nostro Franz abitualmente ci vizia, sia qui declinata non con i toni intimi e caldi di buona parte delle sonate, degli impromptus o dei moments musicaux, bensì trasferita su scala eroica e con ampi gesti pianistici, riecheggianti la beethoveniana Sonata "Waldstein". Schubert evoca dinanzi a noi ossessioni wertheriane, passioni estatiche, sentimenti brucianti, sofferenze che sublimano l'anima: è un vortice inarrestabile di "Sturm und Drang". Si approda così alla seconda sezione, in Adagio, con un tema cantabile che, troppo breve per essere sottoposto a variazioni, viene sviluppato e cesellato a frammenti, con graduale crescita di intensità romantica; questo episodio dolcissimo, dopo aver raggiunto il suo climax, il punto apicale, si risolve in una eruzione di virulenta, selvaggia violenza, tipico dei movimenti lenti delle ultime sonate schubertiane (ma solo l'Andantino della Sonata D 959 contiene una esplosione di rabbia comparabile a questa). Se eravate seduti su una poltrona in ascolto, molto probabilmente e senza accorgervene vi ritroverete a questo punto in ginocchio, a terra, pugni chiusi. Con il Presto e l'Allegro la Fantasia volge al completamento, mentre le asperità tecnico-esecutive raggiungono altitudini da vertigine. La fuga conclusiva con gli arpeggi a cascata richiede una tecnica trascendentale: ad essa, infatti, è legato l'esplicativo aneddoto secondo il quale lo stesso Schubert, nel corso di una esecuzione della "Wanderer" per una ristretta cerchia di amici, giunto ad affrontare la tremenda fuga finale, abbia interrotto il brano, alzandosi furioso di rabbia e urlando: "Il resto se lo suoni il Diavolo". I virtuosismi finali, mai fini a se stessi, ma funzionali a un ordito melodico geniale, concludono l'opera con pirotecnica brillantezza, nel ritorno al tema iniziale. Il senso ciclico della composizione è compiuto.
Sfido chiunque, poi, a trovare una composizione di Schubert che inizi in maniera più soave della Fantasia per violino e pianoforte D 934: dopo l'introduzione del piano in tremolo, entra in scena il violino a tratteggiare una melodia di seducente, incantevole bellezza. L'intera sezione di apertura viene eseguita in pianissimo, fino a quando l'intensità cresce per sfociare, poi, in un Allegretto punteggiato da un gentile rondò in stile gitano, reso con un delicato staccato. La parte centrale della Fantasia è illuminata da una serie di variazioni che inducono un crescendo emotivo appassionante e appassionato, culminante in una transizione con riproposizione del tema iniziale, stavolta esposto con uno spazio sonoro ancor più dilatato. Si giunge così al finale, con il tema principale sottoposto a variazioni armoniche ed una repentina ma esaltante chiusa.
In conclusione, c'è musica che arriva al cuore passando dal cervello, e musica che arriva direttamente al cuore: questa appartiene alla seconda categoria.
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