Mi annoia chi a priori reputa che la cosiddetta musica classica sia per definizione più "alta" di altre.
A confortarmi in questo, De André, mutuando Benedetto Croce, sosteneva che non esistono arti minori o arti maggiori bensì artisti minori o maggiori.
E io, semplice appassionato, dovrò fermarmi al metro dell'emozione per valutare ciò che per me è "minore" o "maggiore", nonostante anche l'emozione possa essere alimentata dalla conoscenza e dall'approfondimento di aspetti più tecnici.

E' vero che la musica arrivata fino a noi, cavalcando e scavalcando gli anni, passando per innumerevoli mani di interpreti e altrettanti innumerevoli orecchi di uditori  non può che non essere per lo meno rispettata, soprattutto se nel suo lungo viaggio è riuscita a conservare in sé la grazia di emozionare persone così distanti fra loro.

Mi meraviglia sempre il concetto che ci si possa suggestionare con forme d'arte composte decine o centinaia di anni fa... questo tutto sommato significa che, nonostante la società odierna poco o nulla abbia a che fare con quelle passate, i problemi, le angosce, le tensioni dell'uomo sono nel profondo sempre gli stessi.
E le sensazioni che ci giungono da una musica che ha attraversato la storia ne sono conferma.
Un esempio?: la sinfonia n.9 in do maggiore di Schubert.

Questa è l'ultima sinfonia composta da Schubert, anche se talvolta la vediamo catalogata come settima, in quanto scoperta alcuni anni prima della famosa "Incompiuta". E' stata scritta nel 1825 durante un viaggio in Siria e terminata probabilmente nel 1828 (anno della morte del compositore). Andò poi misteriosamente perduta, fino a quando Schumann ritrovò il manoscritto in casa del fratello di Schubert, nel 1839. La prima esecuzione avvenne nello stesso anno sotto la direzione di Mendhelssohn e fu poi pubblicata nel 1840, anno in cui Schumann le dedicò un articolo memorabile definendo la sua struttura di 'divina lunghezza'.
Come in altre composizioni dell'autore, si viene sorpresi da magnifiche idee melodiche come "perla tra le valve di un'ostrica" dirà Massimo Mila nel suo "Breve storia della musica" aggiungendo che nella musica di Schubert vi sono "motivi così belli e compiuti, che penetrano nell'anima con quella segreta dolcezza, con quell'intimità che i tedeschi chiamano Heimlichkeit, cioè segretezza, mistero, tranquillità, quiete.... motivi di così compiuta bellezza non si possono veramente sviluppare: non c'è che da ripeterli, per provare ancora una volta quel brivido, quel rimpianto struggente, quel contatto fuggevole dell'anima con la verità del cuore, al di là di ogni raziocinio...".
Già, questa musica ha ogni volta il potere di allagarmi gli occhi e di crearmi la volontà di condividere con qualcun'altro le emozioni che mi suscita, quasi fossero troppe e troppo intense per reggerle da solo.

E quindi vi invito ad ascoltare il secondo movimento, l'"Andante con moto" e a percorrere insieme il viaggio del viandante (immagine fondamentale anche in molte altre composizioni di Schubert). Un viaggio in solitudine, fra la terra arida e scomoda, un viaggio probabilmente senza meta, come a volte capita nel viaggio della vita, viaggio che però di tanto in tanto e il più delle volte inaspettatamente e involontariamente ci sorprende con emozioni che danno vita alla vita: come quando una fanciulla ti sorride con gli occhi dell'amore, come quando un bicchiere di vino ti fa sentire meno solo, come quando sei aggrovigliato dalla malinconia e un abbraccio senza senso ti sblocca le lacrime... e come tutti quei momenti in cui ti rendi conto che sei tu che stai mangiando la vita e non lei a mangiare te.

Alla fine non sono queste improvvise folate di emozione che ci tengono a galla e per le quali dopo tutto vale la pena vivere? Evidentemente ora come secoli fa.

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