Fred Frith è probabilmente tra i più grandi chitarristi che si ricordino.
Eclettico, prolifico, originale, il suo contributo alla musica rock e d’avanguardia è quantomeno importante. La sua influenza risulta evidente quando si pensa alle più di 400 registrazioni in cui appare come solista, componente del gruppo, collaboratore o produttore.
Ma andiamo con ordine: Fred Frith nasce in Inghilterra nel 1949 dove cresce a pane e musica, impara a suonare il violino e in seguito passa alla chitarra, a quasi quindici anni ha il suo bel gruppetto con cui inizia a smanettare i primi blues. Ma è all’università, a Cambridge, che il suo stile si raffina, assorbe stili e culture e rimane affascinato dalla filosofia musicale di John Cage e dalle manipolazioni sonore di zio Frank Zappa. È sempre qui che incontra Tim Hodgkinson con cui fonda i grandi Henry Cow, rinnovatori della scuola di Canterbury, cervellotici e dissacranti nelle loro improvvisazioni quanto influenti, protagonisti di frequenti fuori pista nella musica d’avanguardia (quella tosta eh!). In questo periodo inizia anche a produrre i primi dischi solisti come “Guitar Solos” col suo personalissimo, e osannato da molti chitarristi, approccio allo strumento. Tra i tanti collaboratori con cui lavora in Inghilterra vi è anche Robert Wyatt e Brian Eno, che ha l’orecchio molto fine e non se lo lascia scappare, reclutandolo per suonare in “Before and After Science” e “Music for Films”.
Dopo lo scioglimento degli Henry Cow si trasferisce a New York, in cui continua ad incidere dischi solisti e a collaborare con artisti eccezionali, influenzato dalla scena avanguardistica del posto. Anche qui tra le innumerevoli collaborazioni si devono citare quelle con Zeena Parkins, John Zorn (suona il basso nei Naked City) e i mitici Residents.
Il risultato più felice di questi anni di creatività è “Speechless”, senza parole appunto, un collage surreale della vita e la gente di New York, degno delle sperimentazioni più assurde dei Residents e del collage goliardico di Frank Zappa. Ascoltando questa musica ci si ritrova nelle vie di di Brooklyn o al Central Park o nei vicoli più sporchi di Harlem, la chitarra è protagonista anche se quasi mai riconoscibile nelle sue mille trasformazioni, ora imita suoni della natura o artificiali, altre volte rumori, è quasi una voce narrante, il tratto d’unione di questi affreschi metropolitani. Tutto ciò è immerso in un ambiente realistico, quasi tangibile, a volte reso tale tramite registrazioni di voci e suoni ambientali, altre volte rievocato dagli strumenti, anche se questi non vogliono riprodurre rumori reali, ma evocare l’idea di una situazione, che spesso gli effetti elettronici deformano. Frith utilizza un gran numero di strumenti musicali, il che rende tutto più straniante, tra cui xilofono, vibrafono, flauto, fisarmonica e harmonium, marranzano e violino che suona in qualche occasione. A tutto ciò si unisce lo sterminato mix di generi che affluiscono e si mescolano e che spesso varia diverse volte all’interno di ogni canzone, questi vanno dal progressive canterburiano degli stessi Henry Cow all’avanguardia più sperimentale e al vaudeville, dal blues al jazz, dai Residents ai Faust, da Frank Zappa a Brian Eno, ma tutto è reso più umano (o disumano) dai vari campionamenti di voci, mormorii, grida e lamenti, ricordando a volte i concerti sulla 52esima Strada di Moondog.
Album consigliatissimo dunque, anche per iniziare a conoscere questo artista fenomenale. Ovviamente è impossibile prevedere cosa succederà in ogni canzone, ogni traccia stupisce e l’ascolto non è particolarmente difficile, insomma è come vivere New York City in un disco.
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