Zinnemann è uno dei tanti registi europei risucchiati dal gorgo di Hollywood negli anni dell'eplosione delle prime grandi major e dello "star system". Zinnemann ha fatto come Billy Wilder e Fritz Lang. Tutti austriaci, tutti via dal pandemonio europeo e dal nazismo con destinazione costa pacifica degli states. Stesso tragitto, anche se il peso dei loro nomi differisce nel grande libro della storia del cinema. Wilder e Lang hanno contributio a plasmare cinema, a rinnovare e innovare codici cinematografici, a creare tendenze, stili, archetipi. Zinneman è invece uno dei tanti (grandi) nomi del cinema americano classico, il cui lavoro è rimasto impresso in modo indelebile soprattutto grazie al successo di pubblico e critica del suo film più famoso, quel "Mezzogiorno di fuoco" che non è solo uno dei più riusciti film americani del periodo, ma anche uno dei più grandi esempi del genere western, quello che il critico francese André Bazin definì "il genere fondativo americano".
Da classico titolo western la trama verte tutta sul mantenimento dell'ordine esistente. Lo sceriffo Kane e la bella Amy (Gary Cooper e Grace Kelly) si sono appena sposati e Kane rassegna le sue dimissioni da sceriffo della piccola comunità. Tutto idilliaco se non fosse che il bandito Frank Miller, fatto arrestare da Kane qualche anno prima, è stato graziato e sta tornando in città insieme a tre suoi fedelissimi. Il treno di mezzogiorno è il detonatore di tutto. Kane abbandona ogni progetto di partenza con Amy e assolve a simbolo morale dell'uomo pronto a sacrificare se stesso per la salvaguardia del bene comune.
A guardare il film di Zinnemann a più di sessant'anni dalla sua uscita, ciò che rimane marchiato a fuoco è la straordinaria modernità della messa in scena. Dal bianco e nero di Crosby (futuro uomo di fiducia di Roger Corman) al ritmo capace di condensare la ricerca di volontari per sfidare Miller e lo screentime proprio di ogni sequenza. La pellicola è estremamente ponderata ma sa essere incalzante, perchè la sceneggiatura di Carl Foreman (che aveva già collaborato con Zinnemann) mantiene un elevato livello di suspense con la sua capacità di "lavorare" su due livelli: da una parte Kane si ritrova a dover constatare il rifiuto dei suoi fedelissimi (tra cui il vicesceriffo Harvey) e dall'altro lo spettatore attende l'inevitabilità dello scontro che sta per sopraggiungere. La regia di Zinnemann rende questo clima tesissimo con l'alternanza di primi piani e i campi lunghi tipici del western.
Basterebbe la sagacia formale a descrivere la grandezza di "Mezzogiorno di fuoco", il suo essere entrato di diritto tra le pagine della storia della settima arte. Emblema del suo tempo, il lungometraggio di Zinnemann è anche e soprattutto un film che narra la storia del momento americano. Non è il racconto della frontiera o la grande corsa all'ovest. In "Mezzogiorno di fuoco" c'è la città, la vità di comunità, la messa domenicale ad essere in pericolo. Il film è anticomunista, come lo sarà due anni dopo "Fronte del porto" di Elia Kazan. Gary Cooper è l'eroe americano che come figura salvifica, il bene, affronta il male che viene da fuori, il classico "nemico esterno" americano . Lo "sconosciuto" nemico sovietico identificabile con la banda in arrivo, anch'essa celata fuori dal tempo e dallo spazio. Uomini che esistono ma che non ci vengono mostrati se non nell'atto finale. Eppure, Zinnemann ha timore del suo tempo e il suo sguardo è più guardingo e accorto dell'invettiva antisindacale di Elia Kazan: l'orologio inquadrato come mantra, lo spettro del fallout atomico della Guerra Fredda. Non è un caso la scelta simbolica di far collimare un preciso momento con l'inizio della sparatoria finale. Agire il prima possibile, lo sguardo di Zinnemann è quello di chi è pessimista davanti al mondo che vive: se è vero che il cineasta di Vienna segue i canoni della Hollywood classica (bacio a stampo e happy ending) va sottolineata la scena che più di tutte racchiude la poetica di Zinnemann, quando gli abitanti del villaggio prima restii a mettere in gioco la propria vita, poi si accalcano intorno alla persona di Kane, ora eroe assoluto che può finalmente lasciare il suo posto di sceriffo. Chi si è tirato indietro davanti alla prospettiva di morire ora diventa rapace di voler apparire. Per Kane è giunto il momento di lasciarsi alle spalle quelle persone, in cerca della tranquillità reclamata da Grace Kelly, una delle creature più belle ad aver mai posato i piedi su questo pianeta.
Ogni tanto i grandi classici meritano di essere rispolverati, in particolare in quest'epoca in cui il cinema sta lasciando il passo a brutture videoclippare, farcite con botulino e computer, tutto alla modica cifra di 170 milioni di dollari. Ecco perchè chi scrive ogni tanto sente il bisogno di rispulciare i titoli che hanno contribuito veramente a plasmare la storia del Cinema. Con buona pace di tutti i contemporanei cinefili che sbavano per "Suicide Squad", pipistrelloni volanti e giustizieri vari.
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