Non è mai facile parlare di musica classica.

Sembra che al solo sentirne le semplici parole molta gente rifugga, come di fronte ad una cosa vecchia e sgradita, inutile e pacchiana. Quando invece si pensa al Jazz subito l'opinione comune si riempie di uno strano rispetto, una consensuale percezione di musica strumentale colta e raffinata, moderna, per musicisti seri. Ma nel passato esistono "chiavi" che possono davvero aprire le porte del moderno, esistono "mondi" dove la musica era veramente Arte, non soltanto perché "costruita" con criterio e profonda intelligenza, ma soprattutto perché reale e sincero specchio di anime inquiete, purissimi cristalli di vera umanità, dimensioni emozionali intrise di lacerante interiorità.

Non è mai facile parlare di musica classica.

Soprattutto quando molta gente è convinta di trovarsi dinanzi ad una musica troppo spesso pomposa e spocchiosa, prolissa e noiosa. Anzi noiosissima. Eppure sono esistiti artisti, come il pianista polacco Fryderyk Chopin (1810-1849), che nella musica hanno investito tutto il loro universo più intimo e concreto, suggellando nelle note di molteplici spartiti tutto l'immaginario meraviglioso che una mente umana può contenere, tutto l'orizzonte poetico che una sensibilità radicalmente carnale è riuscita a toccare.

Plasmare le emozioni. Prenderle nelle mani, schiacciarle violentemente fra le dita e lasciarle cadere dolcemente per terra. Dove tutto nasce, dove tutto ritorna. Solo un pianoforte come amico, compagno sincero con cui "dialogare" di tristi ricordi, vivide memorie impregnate di profonde nostalgie, antiche amarezze sopite nella certezza della propria eterna inadeguatezza, angosciosa fiumana dei sensi affogata nel sentore della propria avvilente miseria. E poi l'abisso. Il più nero recesso di un'anima tormentata. La radice stessa dell'oscurità. 19 Notturni.

Percorsi introspettivi e terrificanti del "buio" dell'esistenza, il più profondo manifesto del "nero sentire". 19 perle assolute di arte pianistica, di emozionalità umana, di disperata fragilità e devastata nudità. Non servono disquisizioni tecniche per accostarsi a quest'album di brani strumentali. Non servono certo lezioni di pianoforte per comprendere tuttà la ricchezza di sentimenti e tutta la visceralità più appassionata, che l'immenso F. Chopin ha saputo cogliere da quella maledetta tastiera sul quale spesso si accaniva con violenza e delicatezza al tempo stesso, ma versando sempre e comunque un sangue che troppo spesso chi "parla" di oscurità non sempre sembra "sentire".

Artur Rubinstein è il pianista contemporaneo che più di tutti si è avvicinato all'universo estetico e musicale del genio Chopin e, nell'ambito d'alcune registrazioni effettuate nel 1965-67, ci consegna quelle che da molti vengono considerate le più straordinarie interpretazioni dei "Notturni" del compositore polacco, le più incredibili e sofferte pagine della poesia pianistica universale. Non è un album per sognare questo, nè per rilassarsi, molto banalmente. Ma una musica fatta per soffrire, distruggersi, annichilirsi, piangere, ricordare, capire.

E rinascere.

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