Free Kitten, un nome che a molti dirà ben poco.

Eppure i nomi dei componenti sono tutt'altro che sconosciuti: nientepopodimeno che Kim Gordon, Julie Cafritz, già nella noise band di culto Pussy Galore a fine anni '80, Mark Ibold (ex-Pavement) e Yoshimi P-We, batterista del gruppo sperimentale giapponese Boredoms nonché ispiratrice del titolo di un disco dei Flaming Lips (Yoshimi Battles The Pink Robots). Un supergruppo noise, insomma.

Dopo circa undici anni dall'ultimo "Sentimental Education", le Free Kitten perdono Ibold e fanno uscire per l'Ecstatic Peace a fine maggio 2008 questo "Inherit", già bistrattato da diverse riviste specializzate.

Non siamo ai livelli di "Nice Ass" effettivamente, ma "Inherit" si lascia ascoltare gradevolmente e dimostra una certa maturità sonora (Cafritz e Gordon sono musiciste attempate oramai).

Abbandonati dunque gli atteggiamenti foxcore e lo-fi dei primi dischi, le Free Kitten s'ammorbidiscono notevolmente e s'allunga il minutaggio dei pezzi. Chitarre dissonanti, batteria minimale e parlata indolente sono gli ingredienti principali del nuovo sound del trio. Prima c'erano le urla, le distorsioni potenti, la decisione dei tamburi, la sintesi.

La suite "Free Kitten On The Mountain" è dilatata, sognante, a tratti fredda e distaccata perché tale è il parlare di Kim Gordon. L'atmosfera ricorda quella dei momenti più calmi di "Rather Ripped", così come quella dell'opener "Erected Girl" e ciò dimostra che dopotutto più che essere i Pussy Galore secondo Julie Cafritz, le Free Kitten son sempre state piuttosto i Sonic Youth secondo Gordon. E difatti il sentore sonicyouthiano è persistente per l'intera durata di "Inherit". "Sway" è incantevole, con il suo debole incedere math-rock, con la sua dolce impotenza. Uno degli apici del disco, insieme a "Surf's Up", tappeto noise disteso sotto un assolo di chitarra di J Mascis (leader dei Dinosaur Jr., per i profani), che viene inoltre ospitato in veste di batterista nel folle collage di sperimentazioni "Bananas". Gli sfoghi viscerali a bassa fedeltà dei primi lavori sono mantenuti in vita solo da Julie Cafritz nella cupa e furente "Help Me", scheggia no-wave à la Lydia Lunch. "The Poet" è il brano che meglio riassume il disco: nessun virtuosismo, nessun accenno di melodia, batteria essenziale che impazza talora in tribalismi, chitarrine shoegaze.

"Inherit" è la rabbia che diventa malinconia, la voglia di cambiare il mondo che si tramuta in rassegnazione, la ragazzina che diventa donna.

È il rumore che non vuol farsi sentire.

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