19 aprile 1968: la nascita di una leggenda.
Quattro ragazzi giovani e ribelli, appena sbocciati in un'era fantastica, in un mondo in evoluzione pronto a qualsiasi cambiamento.
Il figlio di un dottore alla voce, un ragazzo di estrazione agricola alla batteria, un figlio di un celebre attore e un sedicenne reduce nientemeno che dalla band di Alexis Corner al basso.
Questa è la formula principale, le cose belle nascono quasi sempre per caso, tra gente semplice e sconosciuta. Perché Paul Rodgers scoprì di avere una voce calda e sensuale ai tempi del liceo, quando con la sua band Wildflowers coverizzava "Good Golly Miss Molly". Oppure Andy Fraser, un ragazzo di povere origini che fu espulso da scuola perché si rifiutò di tagliare i capelli e la cui madre sfacchinava tra diversi lavori per mantenere i figli.
Insomma, mettendo insieme questi quattro ragazzi in uno studio il gruppo dei Free prese forma all'istante, tanto da incidere subito quattro o cinque pezzi appena composti. La cooperazione nella scrittura delle canzoni è infatti uno dei grandi pregi dei Free: ognuno aveva un'idea totalmente diversa dall'altro che assemblate insieme formavano quei pezzi che ancora oggi sanno sorprendere e far impazzire tanta gente.
"Tons Of Sobs" è il primo di una serie di dischi di ottimo livello, ed è per certi versi il più fresco. Tutte le canzoni sono aggressive al massimo e l'importanza della rivoluzione sessuale di quegli anni è palpabile in ogni nota del disco. Basti ascoltare "Wild Indian Woman", "I'm A Mover" e "Walk in My Shadow" per rendersene conto; questi due potenti blues sono anche fin troppo espliciti, e la chitarra di Paul Kossoff si intreccia ai fraseggi di Fraser e alle rullate di Simon Kirke in un procedere sensuale e molto passionale. La voce di Paul Rodgers è poi la ciliegina sulla torta: ancora molto roca rispetto ai dischi successivi, riesce ad esprimere anche fin troppo bene il piacere lussurioso della carne, esplodendo in un orgasmo di suoni in canzoni forti e quasi erotici come "Worry" o "Sweet Tooth", caratteristica che lo afferma come una delle voci più sexy in circolazione, ancora oggi.
Il disco presenta anche parti molto intense e quasi malinconiche, come la triste "Moonshine", ballad trascinante che ha come scenario un cimitero, in cui si veglia sulla tomba di una adorabile ragazza che lascia l'uomo tutto solo a piangere la sua morte.
Intensa è anche una delle due cover presenti nel disco: "Goin' Down Slow" (Howlin' Wolf) è un blues lento e straziante, in cui il botta e risposta tra Rodgers è Kossoff sa proprio di genialità, e di cui lo stesso chitarrista affermerà più tardi che con i suoi riff esprimeva una rabbia profonda contro la tragicità della morte.
L'altra cover è tutto l'opposto: la celebre "The Hunter" di Albert King è un blues protratto ai limiti dell'aggressività, in cui il piano e l'organetto suonati da Fraser stesso sono un eccellente condimento, e in cui i primordiali assoli di Kossoff fanno da ossatura della canzone.
Uno dei fattori più geniali rimane comunque l'apertura e la chiusura del disco: le due "Over The Green Hills" sono canzoni acustiche firmate Rodgers, in cui viene esaltata la bellezza della natura rude e selvaggia.
"Tons Of Sobs" è un esordio quasi perfetto, se non fosse per l'immaturità degli arrangiamenti, molto più accurati nei dischi successivi.
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