Io vengo dal liceo classico, precisamente dal famigerato "Giulio Cesare" di Roma quartiere Trieste. Sì esatto, quello decantato dall'inguaribile romantico Antonello Venditti. Ho studiato filosofia per tre anni, senza mai esserne veramente appassionato e, onestamente, senza neanche capirci molto. Non è che mi interessasse particolarmente quella materia, visto che, data l'età, i miei interessi principali erano altri. Cercavo di mandare a memoria le frasi fondamentali, quanto bastava per passare le interrogazioni. Ma senza mai condividere, nè capire quello che stavo ripetendo. Nonostante questo comunque, non sono mai stato rimandato in filosofia, fortunatamente.

Ora che l'adolescenza è passata, che sono entrato nella maturità, mi sembra il caso di avvicinarmi umilmente e con entusiasmo a quella che è la mentalità della gente. A partecipare, insomma.

Qualche giorno fa, spulciando tra gli scaffali della libreria di famiglia, mi sono imbattuto in "L'Anticristo" di Friedrich Nietzsche (editore Adelphi). Uno dei massimi pensatori della storia della filosofia, e principale influenzatore del pensiero occidentale odierno.

Ebbene, il libro mi ha lasciato, fin dalle prime pagine, molto preplesso. Lo stile è concitato, febbrile, a tratti quasi disperato. Come se qualcuno stesse intimamente gridando al mondo il proprio dolore!

Dalla prefazione, si nota subito un'espressione di sottile piaggeria: "Suvvia! Questi soltanto sono i miei lettori, i miei giusti lettori, i miei predestinati lettori". Un lettore ingenuo può pensare: che bello, forse sono un predestinato, sono parte di qualcosa! Ma di cosa? Il discorso continua: "Il resto è semplicemente l'umanità. Si deve essere superiori all'umanità per forza, per altezza d'animo - Per disprezzo...". Ora mi chiedo, come può qualcuno essere superiore a sè stesso? Mi hanno sempre educato ad accettare me stesso come essere umano, con i miei difetti, le mie debolezze, le mie paure. Come tutti insomma, volenti o nolenti. Nessuno escluso. Vado avanti, sempre più allibito: "I deboli e i malriusciti dovranno perire (pag. 5)". A questo punto sono pronto a tutto, infatti poco più in là leggo: "la compassione è la prassi del nichilismo. Sia detto ancora una volta: questo istinto deprimente e contagioso intralcia quegli istinti che tendono alla conservazione della vita". Sinceramente, credo che la partecipazione al dolore altrui sia una normale espressione della sensibilità umana. E' ciò che ci rende uomini, esseri sociali, comunicanti. Per questo si aprono i siti internet come questo, per condividere qualcosa, per comprendersi, per confrontarsi alla pari.

Sospetto: che Nietzsche desideri essere superiore a un altro uomo per non dover confrontarsi alla pari con lui?... Andando avanti, il sospetto cresce.

Non sono uno psicologo, ma mi sono documentato e ho letto che il padre di Nietzsche, pastore protestante integralista e reazionario, aveva un rapporto "difficile" con Friedrich. Ossia, forse non gli aveva dato l'amore e la comprensione che suo figlio si aspettava da lui.

Come spesso accade nelle famiglie strettamente religiose, l'educazione dei figli è basata su dogmi assoluti, che, per la paura di contravvenire alle regole della religione stessa, pospongono, a volte sostituiscono un sincero, onesto e umile rapporto umano, Paura.

Nietzsche aveva paura. Ma da cagarsi sotto proprio. Aveva paura di soffrire. Si era come issato su un piedistallo e guardava tutti gli altri dall'alto in basso, con "disprezzo", come scrive lui. Ma in realtà si era solo isolato dagli altri, in un delirio quasi di onnipotenza aveva rifiutato la sua natura di uomo per sfuggire alla conseguenza di essere un uomo: la sofferenza. L'unica cosa che, insieme alla morte, nessuno potrà mai evitare. Amare qualcuno che ti fa soffrire rafforza il carattere, aiuta a non farsi influenzare da persone manipolatrici ed egocentriche. Amare ti fa crescere, per dirla in poche parole. E amare è anche provare compassione.

Io credo che senza accettare la sofferenza non si può essere felici. Perchè la sofferenza c'è, è lì, non puoi scappare, fingere di non vederla, di non provarla. Non senza impazzire, almeno. Amare qualcuno che ti fa soffrire rafforza il carattere, aiuta a non farsi influenzare da persone manipolatrici ed egocentriche. Amare ti fa crescere insomma, per dirla in poche parole.

Questa continua fuga dai propri sentimenti umani produsse in Friedrich un effetto devastante, tanto da non riuscire più a controllare le proprie emozioni, che come un geyser, schizzavano fuori improvvisamente e senza criterio. Pare infatti che un giorno, a Torino, vedendo un cocchiere che frustava il suo cavallo, si gettò al collo dell'animale e pianse come un bambino. Proprio lui che disprezzava così tanto il genere umano e la sua compassione.

Ora faccio un ragionamento filosofico: se Friedrich Nietzsche, che ripecchia per molti versi il pensiero moderno, ha rifiutato la compassione ed è impazzito, si può basare la mentalità moderna sull'assenza di compassione, e non finire con l'impazzire?

Per quanto mi riguarda, l'unica cosa che provo per Friedrich Nietzsche, è compassione.

Ciao a tutti.

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