Sono appena tornato da Passo Vezzena, dopo un'escursione con le ciaspole sotto la neve passando per Forte Verle, Vezzena e vedendo in lontananza il Verena da dove cominciò il conflitto per l‘Italia. Sono passati oltre 90 anni e nonostante i metri di bianco manto caduta ancora adesso si intravedono le cicatrici immense delle granate e degli obici da 280 e 305 mm che hanno tempestato questo luogo sacro. Quello che vi voglio descrivere non è tuttavia un libro storico, un ammasso di date e luoghi, una ricostruzione precisa ed attendibile di quel che fu spiegando perché si concluse come tutti sappiamo.

Le "Tappe della disfatta" del tenente di artiglieria austriaco Fritz Weber è molto di più. E' la descrizione della guerra dall'interno, non dallo studio di uno storico dei nostri giorni che tramite giornali e testimonianze ricostruisce in un continuum il conflitto. Il diario è meraviglioso perché ci narra le crudeltà dell'epico scontro con una passione talmente forte e commovente che le 350 pagine totali, nonostante il lavoro, le ho letteralmente divorate in una settimana appena.

Agli occhi della gente gli italiani sono "faciloni", poco patriottici e furbi. Mi viene in mente il film "La Grande Guerra" di Monicelli dove Alberto Sordi e Vittorio Gasmann interpretano questo luogo comune fino all‘inatteso finale. Beh, la descrizione del nemico (ovviamente l'Italia) che ci fa Weber (uno dei pochi reduci che combatté in Trentino, sul Carso, partecipò alla spedizione punitiva e alla mancata offensiva sul Piave con conseguente disfatta) è molto diversa. Frustrazione per la tenacia dei soldati avversari, ammirazione per gli atti eroici mostrati ed impotenza di fronte alla loro decisione di non mollare mai, nemmeno nelle situazioni più disperate. Si può disquisire sugli equipaggiamenti e sulle tattiche militari dei generali (perchè si insistette sull'Isonzo e non si cercò di occupare il Trentino subito???), ma uno dei punti salienti del libro di Weber è che gli italiani hanno combattuto con quello che avevano come meglio non avrebbero potuto.

ATTESA E DIFESA NEL CEMENTO

La calma prima della tempesta; questa la situazione surreale e tranquilla dell'inizio della guerra. E‘ solo questione di tempo. Tutti lo sanno nella primavera del ‘15. Quando cominciano i bombardamenti il lettore entra nel forte che formicola di gente impaurita, ferita a morte, ma decisa a sopravvivere a qualunque costo. Notti insonni passate a caricare, ricaricare e sparare senza sosta alle batterie avversarie. Gole secche e occhi rossi che bruciano, non si dorme per giorni e quando si riposa lo si fa con un occhio solo perché l'offensiva può arrivare da un momento all'altro. E quando c'è una pausa, si fortifica quello che è stato distrutto. 1 anno e mezzo in un forte, sempre sulla difensiva, con un solo ordine: resistere e non cedere! Weber ci fa capire la situazione presentandoci la pazzia che alberga tra i più deboli, le smorfie di puro terrore ad ogni scoppio di ordigno bellico. Il bisogno di bere rum per tentare una fuga dalla realtà, la voglia di combattere, la rabbia totale con conseguente sete animalesca di sangue del nemico. Ecco le ferite di un conflitto inumano.

AI LIMITI UMANI

E poi arriva l'inverno e allora si sale su a 2200 metri per combattere contro il congelamento, le valanghe immani e i nemici appostati ad appena 200 metri di distanza per la conquista della vetta di un monte: il Pasubio ed i suoi storici denti. O il Cimone. Entrambi dilaniati dallo scoppio di tonnellate di esplosivo austriaco celati in un reticolo di gallerie costruiti con litri di sudore e fatica. 16 metri di roccia dissolta e sopra, sulla cima, c'erano uomini ignari di quello che li attendeva. Non c'è nello scritto del Weber esultanza o retorica per queste "vittoria"; è semplicemente una questione di sopravvivenza e l'unica cosa della quale è certo l'autore è che mai prima d'ora nella storia si erano raggiunti i limiti della sopportazione.

INFERNO CARSICO

Si dice che il tempo possa fare miracoli, ma come ci può abituare a tutto questo? Una guerra con metodologie antiche, ma combattuta con armi terribilmente moderne. La guerra dei forti sembra un paradiso in confronto dell'inferno carsico dell'Isonzo e dell'Hermada dove il nemico, l'Italia, voleva con Cadorna sfondare con tutta la sua forza residua. Feriti e morti a migliaia. La trincea diventa un incubo e l‘undicesima battaglia che ci viene narrata fa venire la pelle d‘oca. Gente che sta male al solo pensiero di dover avanzare sapendo che le precise mitragliatrici sono lì che attendono la loro carne. Fotografie di orrida bellezza sono i lamenti di notte dei nemici feriti nella notte, le fosse comuni delle battaglie precedenti dilaniate dalle nuove bombe e le facce che ci vengono descritte di chi sta morendo di paura e non crede che tutto questo possa essere vero. Gente in licenza si suicida il giorno prima del ritorno al fronte. Un racconto agghiacciante, ci manca il respiro solo a leggerlo.

ENTUSIASMO E DISFATTA

Il culmine. La spedizione punitiva che quasi spezzò le redini all'Italia ci viene proposta come una cavalcata euforica e piena di entusiasmo. Dopo mesi e mesi di guerra difensiva, con l'aiuto dei tedeschi, del loro terribile gas e del nuovo metodo di combattere; (non più sulle cime ma in valle) porta gli austriaci avanti di 100 km. Si aprono spazi immensi e non pare sia quasi vero. Sembra sia davvero la fine per il nemico. Sogni e speranze, si infrangono invece sulle rive del Piave. L'inizio della fine. La difesa eroica degli italiani. Non si passa! Notte dopo notte piove metallo incandescente dal cielo. I ponti mobili vengono distrutti e ricostruiti. Le linee del telefono vengono tranciate e ripristinate con atti di incredibile coraggio traversando il fiume. Muoiono a centinaia di migliaia e l'Impero a poco a poco si sfalda. E' commovente come viene descritto questo momento tragico nel quale le differenti etnie, che all'inizio del conflitto erano un unico blocco, si sgretolano facendo sì che l'esercito diventi un ammasso di popoli che attende la fine. Nei volti dei soldati si legge la disfatta che avanza. Arriva d'improvviso, furiosa e senza tregua, la ritirata. La fame, la malaria, l'impossibilità di fermarsi fino all'inglorioso rientro in patria, braccati dal nemico. Niente da festeggiare, nell'indifferenza generale quando stremati si giunge in Austria.

Il libro che or ora tengo stretto in mano è pieno di appunti e di frasi che ho sentito la necessità di evidenziare. Sono infatti davvero troppi i momenti in cui l'autore del libro riesce a trasmettere a chi legge l'orrore della guerra, l'eroismo, il patriottismo, la paura, la pazzia ed il dolore al suo stato più puro. Un libro stupendo, scritto con frasi semplici: taglienti schegge di ricordi che non dobbiamo dimenticare.  

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