Di incorporeo, riflessivo o contemplativo qui non troverete nulla.
I Fu Manchu sono il gruppo più terrigno e orizzontale della terra: l'iperamplificazione di un suono tanto esplosivo e solare quanto cavernoso e barbaro. "Eatin' Dust" arriva a consolidare ulteriormente lo stile granitico del gruppo losangeliano dopo i pregevoli "No One Rides", "Daredevil", "In Search Of" e soprattutto il monumentale "The Action Is Go" che (contemporaneamente all'ingresso in formazione di Brant Bjork) li mette in evidenza come i più potenti e storditi interpreti del genere stoner.
Quindi, in forma di Ep e concepito inizialmente come follow-up del nuovo singolo-cover "Godzilla", otto intensissime tracce per un disco che sembra opposto al precedente: tanto estenuante, monolitico e tecnicamente monotematico era "The Action Is Go" quanto essenziale, scorrevole e dissimile risulta quest'ultimo. Ma la cosa più intrigante di "Eatin' Dust" è che ci mette un po' a decollare, come un fiammante pick-up diesel che ha bisogno di scaldarsi un tot prima di condurti a tutta velocità. I primi tre pezzi sono costruiti su semplici mid-tempo e sbiascicati con una pesantezza che è figlia bastarda e tonta dei migliori anni settanta: l'incedere lento di "Godzilla", la voce in rima sui quattro-quarti che carica ancor di più il senso di un moto devastante, come se i Blue Oyster Cult – compositori originali del brano - decidessero di farla finita e radere al suolo l'intero mondo sfilando per le grandi metropoli sulla schiena del mostro. "Module Overload" sembra un pezzo degli ZZ Top gonfi di speedball <...ok, e adesso? pestiamo duro con la coca o rallentiamo con l'eroina?> poi "Living Legend", che chiama i Black Sabbath strafatti di marijuana ad azzeccare un controtempo. Di colpo i bpm raddoppiano con "Eatin' Dust", "Shift Kicker" e "Orbiter" che deflagrano nelle casse dello stereo con inusitata potenza; Led Zeppelin e Thin Lizzy ferocemente distorti e accelerati. Il punto è che questi maledetti figli di puttana sono magnificamente evocativi nella misura in cui portano avanti un'estremizzazione spietata di una tecnica esecutiva (da Jimi Hendrix in giù, chi cazzo credete che sia il più grande di sempre? non che il chitarrismo dei Fu Manchu si leghi direttamente al vecchio Jimi, beninteso: parlo in termini di amplificazione del suono, wattaggio puro) e lo fanno distorcendo in modo animalesco gli stessi accordi di trent'anni fa: più duri, più massicci e macinanti di tutto quel che c'è già stato. I Blue Cheer del ventunesimo secolo. Metabolizzato ciò, risulta entusiasmante pure la voce atona di Scott Hill che più che cantare trascina nenie vocali senza alcun senso melodico.
Così, al botto finale ci s'arriva lanciati. Dove svettano impareggiabili le conclusive "Mongoose" e "Pigeon Toe”: due siluri d'adrenalina allo stato puro dove l'interplay tra i musicisti diventa strabiliante, e i ragazzi picchiano con rozza ed estatica potenza scegliendo perfettamente i tempi, le pause e le esplosioni in una coordinazione di suoni che sono scie di fuoco alchemico.
Indistruttibili e beati.
Come fai a perderteli quando anche per te il verbo è uno solo?
Sucking the 70s!
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