Nei ricordi della prima infanzia le immagini sembrano avere quel caratteristico colore da carta ingiallita, dove gli oggetti sembrano muoversi e oscillare in una lenta danza, chiusi in un etereo stato di ibernazione. Come l'incedere pachidermico di uno tsunami, si gonfiano e dilatano mandando in tilt qualsiasi possibilità di fermarli nella memoria. Creando una forte scossa al loro primo impatto, si prolungano su uno stato di sublimazione che rende il tutto soffice, arioso.
Come uno shuttle in partenza, trasformano le tonnellate di materiale in un leggiadro movimento plastico. Tutto sembra fluttuare a mezz'aria, senza cura alcuna dell'enorme peso che la terra attira a sé. Così si diffonde il senso di evanescente leggerezza che si estende fino ai corpi celesti.
Un macigno che collassa su se stesso, fino a farsi piuma: questo è il suono che l'ultima fatica dei Fuck Buttons tende ad emanare. Un tappeto di droni che schiacciano, annientano, opprimono fino a liberarsi in esalazioni vaporose. Si ha la sensazione di esser penetrati da blocchi granitici, senza provar dolore. Se ne avverte solo la leggerezza di fondo, lo spazio vuoto di quelle molecole ben salde tra loro. É il peso del tutto che si fa catarsi.
Riuscire in una tale impresa è, senza dubbio, degno di nota: le sette tracce di questo terzo disco ben esemplificano l'idea fin qui espressa. Quasi a voler trovare una terza via tra i tratti rumoristi del loro debutto e l'abuso di synths di "Tarot Sport". Questo disco è il movimento ascendente verso spazi siderali: la strumentazione a loro disposizione sembra esplodere e dilatarsi senza frastuono.
L'intero disco gioca su questa struttura a doppia elica: un incrocio di droni e percussioni che si innalzano verso ipotetici scenari cosmici. É il rincorrersi di pattern circolari su dei fatui binari. In questo modo le strutture poggiano su batterie sincopate, che a tratti scaricano a terra le aperture orizzontali dei vari pad, a tratti tendono verso l'alto, creando vortici e spirali senza possibilità d'uscita. A quel punto il mondo esterno ha poco da dire, inglobato com'è in una schiacciante inconsistenza.
Come ricordi sepolti nella memoria, questo ciclone di suoni si spegne pian piano, lasciando all'ascoltatore l'impossibilità di colmare lo spazio vuoto lasciato alle spalle.
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