"Some Nights" mi ha profondamente affascinato e colpito: "devono essere un gruppo nuovo di pacca questi Fun, impossibile non averne mai sentito parlare prima" pensavo tra me e me, rimuginando su questo trio per cui prevedo ed auspico un futuro da next big thing del pop. Tuttavia, documentandomi meglio ho scoperto con una certa sorpresa che "Some Nights" non è l'opera prima dei Fun, il debutto della band risale al 2009 con questo "Aim And Ignite". "Beh, ma se nessuno se l'è filato dev'essere senza dubbio un lavoro acerbo", pensavo, ed ancora una volta mi sbagliavo di grosso. Ora, dico io, ma come ca...volo è possibile che un disco così sia passato sotto silenzio, con tutta la mondezza sonora di cui ci sommergono giornalmente radio e televisioni, in un music business in cui un quarto d'ora di celebrità non si nega a nessuno? Forse sono ingenuo io a stupirmi, l'ambiente discografico è sempre stato un mondo marcio ed assolutamente estraneo al concetto di meritocrazia: si pensi al vergognoso ostracismo di cui fu vittima un genio come Donovan, o i Fastball in tempi più recenti: per una giovane band sotto contratto con un'etichetta indipendente dev'essere praticamente impossibile ritagliarsi uno spazio "adeguato" senza piegarsi a certe logiche.
Ma torniamo ai nostri Fun, che è meglio: sotto questa bellissima copertina in stile inconfondibilmente anni '80 si nasconde un signor disco: suoni più orchestrali e baroccheggianti rispetto a "Some Nights", archi e fiati di vario genere abbondano in tutte le canzoni grazie all'estro creativo del polistrumentista Andrew Dost, anima della band insieme al chitarrista Jack Antonoff ed al carismatico frontman Nate Ruess. "Aim And Ignite" è un album dai vari colori, ora tenui ora più sgargianti, dolce ma mai melenso, che propone un piacevolissimo operatic pop che mette in mostra più ancora che in "Some Nights" la creatività ed il gusto melodico di questi tre ragazzi. Comporre una piano-ballad orchestrale come "The Gambler", con quell'aura di leggera malinconia ed al tempo stesso vivida intensità, il primissimo Jackson Browne che incontra Elton John, non è arte per tutti, ed è solo un esempio delle grandissime capacità dei Nostri, capaci di inventarsi dei repentini cambi di tempo e di umore in melodie perfette come quella della teatrale e dirompente opener "Be Calm" e "At Least I'm Not As Sad (As I Used To Be)", spensierata, estiva giocosa, un po' casinara, che si spegne su un ritmo da passionale serenata, palesi dimostrazioni di una freschezza compositiva, di un talento naturale e di un gusto veramente innato.
Basterebbero queste tre canzoni per capire che i Fun sono veramente di un altro livello rispetto a tutte le altre realtà pop/rock degli anni 2000, ma è tutto l'album ad essere una piccola meraviglia, che scorre fresco, impetuoso come un ruscello carico di entusiasmo ed ispirazione, dal power-pop di "Benson Hedges", colorato dal synth di Andrew Dost ad una marcetta leggera e frizzante, dai risvolti quasi ska come "Walking The Dog" passando per una sontuosa "Take Your Time (Coming Home)", che quasi rimanda a Jim Steinman per l'elaborazione della melodia, la cura del suono e la struttura dilatata da quasi-suite e una potenziale smash hit come "All The Pretty Girls", delizioso richiamo ad un pop rock anni '70 con tanto di coretti ed una melodia stupenda specialmente nelle strofe seguita a ruota a ruota da "I Wanna Be The One" che si presenta come una danza dall'andamento cadenzato e leggiadro, che mischia un inconfondibile gusto "operistico" con ottoni di gusto inizio ‘900, il tutto riadattato in chiave fresca e moderna.
Non mancano episodi un po' sottotono come "Barlights" e "Light A Roman Candle With Me", ma "Aim And Ignite" rafforza ulteriormente due mie grandi certezze: 1-nelle hit parades del 2000 c'è poco spazio per la Bellezza. 2-I Fun sono una benedizione del cielo, l'ancora di salvezza del pop, e lo dico ad oggi: forse il tempo mi smentirà, può anche darsi che vada così anche se io ci credo molto, ci voglio credere, ma anche se i Fun dovessero finire con il deteriorasi ed essere risucchiati dal quel buco nero chiamato mainstream qualcosa di buono lo avrebbero comunque già fatto, ed io potrò dire ad alta voce, senza vergogna alcuna, che "Aim And Ignite" e "Some Nights" sono due grandi dischi, che dopotutto ne è valsa la pena.
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