Arriva dall'Argentina la nuova quintessenza dell'inutilità musicale, la nuova assenza di ispirazione, la nuova AudioPresaPerIlCulo o, nel migliore dei casi, il nuovo artista privo di talento. Si, va bene, il Sud America non è un paese ricco di realtà musicali dinamiche, ma in tutta onestà nessuno obbligava questo tizio a fare l'avanguardista! E poi, non troviamogli giustificazioni già dalla partenza perchè mi basta citarvi Coprofago e il collega Voice Transmissions With The Deceased (a breve la recensione) per zittire qualunque affermazione tendenziosa.
Ma veniamo al dunque: il nostro uomo (Martin) non è un novellino: nonostante l'inizio della sua attività risalga solo al 2002, ha sfornato in pochi anni sufficienti Demo e Full da non risultare uno sprovveduto. Nel 2004, anno di pubblicazione di questo lavoro, era quindi circa a metà dell propria carriera. La proposta di questo tizio dovrebbe essere un Drone Doom parecchio influenzato dal Dark Ambient, ma di fatto è un Dark Ambient con la chitarra elettrica. Pur non essendo un grande intenditore di Dark Ambient, ho sentito sufficienti dischi da capire quando un lavoro è fatto bene e quando invece i suoni sono buttati lì più o meno a caso. Artisti del calibro di Lustmord o certi lavori di Merzbow (quest'ultimo non sempre capace di mantenere standard elevati lungo tutta la sua immensa discografia) dimostrano quanto questo genere musicale abbia da dire e quanto quelli che da molti potrebbero essere additati come limiti intrinseci del genere (ripetitività, scarso senso della melodia etc) risultino invece essere straordinari strumenti espressivi. In più, quando un artista intraprende una strada difficile come questa, si suppone che come minimo sappia maneggiare bene tali strumenti; in caso contrario, si rischia di finire a giochicchiare con una sei corde e qualche softwarino da neanche cento megabyte.
"A Parasite Called Human" è un'unica traccia di quasi un'ora di durata divisa idealmente in tre capitoli ("Parasite In My View", "Change Of Perception", "Final Vius In The Gate"). Teoricamente potrei fermarmi qui e liquidare il lavoro con uno senza nemmeno offrire ulteriori spiegazioni; si cari miei, perchè nella loro ineguagliabile smania di creare qualcosa di sensazionalmente estremo, nemmeno i ben più celebri Sunn O))) avevano mai pensato di ricorrere ad espedienti tanto bassi. E' molto facile fare qualcosa di estremo puntando su una caratteristica formale che salti all'occhio più di quanto non faccia il contenuto vero e proprio: la durata delle composizioni (dalle brevissime song Grindcore alle interminabili suite Funeral Doom) è da sempre un ottimo modo per fare parlare di sè; ma "Est Modus In Rebus" e chi non lo capisce cade nel ridicolo. Che cazzo significa fare una traccia di un'ora? Fosse anche una canzone degli U2 risulterebbe ugualmente stremante. Insomma, chi cerca di prendere l'ascoltatore per sfinimento non dimostra di avere molte altre frecce nel proprio arco. Ma andiamo avanti.
La canzone non solo è lunghissima, è anche brutta; i suoni sono mal fatti e tentano di scandire un tempo di cui non si sente il bisogno. Di sottofondo, abusatissime litanie minacciose cercando di incutere qualche timore. E intanto passano i primi sei minuti, in cui le variazioni sul tema sono scarse nè stupiscono. Quando entra in scena la chitarra inizia a prendere forma la povertà immensa di questo lavoro; le note salgono o scendono di un semitono e nulla di più mentre le emozioni più forti sono regalate dalla sovrapposizione degli effettini che hanno spdroneggiato fino al minuto sei. Si va avanti così fino al diciottesimo minuto; qui il nostro eroe decide che era ora di cambiare qualcosa e fa fare lo stesso lavoro della chitarra a qualche altro strumento non meglio identificato. Intorno alla mezz'ora si arriva al secondo riff, eseguito sempre da quello che sembra un pianoforte scordato ma che in realtà sarà il sopraccitato software da due soldi. I rumori di fondo non riescono a migliorare le solite melodie oscure e le tastiere vengono omesse proprio dove dovrebbero rincarare la dose. Dal quarantesimo minuo in poi praticamente vengono ripresi il tema dell'inizio e quelli centrali. Geniale.
La prima abilità di chi desidera darsi a questo tipo di sonorità deve essere quella di saper individuare quali parti ripetere e quali lasciare solo come colelgamento; la seconda deve essere saper capire quanto a lungo ripeterle perchè l'effetto ipnotico non si trasformi in noia.
Se questo ragazzo avesse fatto un passo più corto (in tutti i sensi), avrebbe potuto senza problemi tagliare quaranta minuti di "musica" e lasciare una discreta canzone Drone di venti minuti: avrebe in questo modo salvato i passaggi effettivamente degni almeno di un ascolto ed eliminato tutto quel tempo buttato per raggiungere "l'estremismo". Senza contare che così facendo avrebbe conservato intatte le capacità destabilizzanti del suo lavoro.
La morale è questa; se non si è dotati dell'inventiva necessaria a sfornare un lavoro veramente originale, è meglio fare la giusta gavetta e partire dal basso. Il rischio, come ottimamente testimonia "A Parasite Called Human", è quello di risultare nient'altro che una schiappa presuntuosa. Per ora è rimandato.
Ps: apro ufficialmente la caccia al tesoro. Chi trova questo disco vince una vacanza ad Arcore (armi da fuoco non incluse)
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