E' il 1972 e i Funkadelic danno alle stampe il loro quarto album, il doppio "America Eats Its Young".

Disco solitamente considerato di transizione, stretto com’è assieme al successivo Cosmic Slop tra due pezzi grossi come Maggot Brain e Standing on the Verge of Getting it On. Album atipico in più di un aspetto, a partire dalla copertina, decisamente meno angosciante della media cui ci ha abituato George Clinton.

Non è innanzitutto uno di quei funkadischi dove la chitarra primeggia con tracotanza, né vi sono troppe tracce di allucinogeni tra i solchi come tanto spesso capita con questi ascolti. E' un disco allucinato sì, ma più stordente che allucinogeno, in certi frangenti sembra che manche la debole distinzione tra Parliament e Funkadelic, sfumando in un turbine di colori luminosi.

Non bisogna pensare quindi né al funk più groove ed arrogante né alla psichedelia in stile Hendrix. Il disco in questione vede anzi una particolare inclinazione verso l’orecchiabilità e la solarità, senza tuttavia snaturare i caratteri peculiari della Parlafunkadelicità. Quattordici tracce di buona qualità, e più di qualcuna spicca sulle altre: "If you Don't Like the Effects, Don't Produce the Cause", ritornello da antologia e potenziale singolo scalaclassifica in un mondo migliore; "Everybody is Going to Make it this Time", che non sfigurerebbe in un musical assieme a "Let the Sun Shine" In dei 5th Dimension, con molta epicità in meno e molta più ironia; "We Hurt Too" e "America Eats Its Young", così apparentemente innocue e sdolcinate.

Gli strumenti lavorano bene e i brani sono infarciti di cori femminili, tastiere e fiati, come vuole la sana tradizione anni ’70. Degni di nota anche i testi, ondeggianti tra amore e sesso ("I call my baby pussycat", "That was my girl") e fenomenali invettive sulla razza umana intera, sulla volontà di cambiare e su come il cambiamento sociale sia spesso difficile, su tutte le sopracitate "If you Don't Like..." e "Everybody is Going..."

Un buon album dunque, che merita di essere ascoltato da chi apprezza il genere sebbene non sia solitamente considerato tra i capitoli di spicco della nutrita discografia Parlafunkadelica.

Buoni testi, buone inventiva e buona musica non deludono. Buon ascolto.

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