Non si esce vivi dagli anni 80, avevano ragione gli Afterhours.

Ideologicamente parlando, i Future Islands lì nascono e lì muoiono, nel decennio del tutto e del niente, un decennio sospeso del quale alla distanza si notano le bellezze cresciute al di là del trash, anni che ci segnano e alcuni dicono "purtroppo", altri, pochi fra cui il sottoscritto, dicono "per fortuna". Chi sono, questo gruppo di stronzi? Samuel T. Herring alla voce e alla mente, poi William Cashion al basso che fa tanto, e J. Gerrit Welmers a tutto il resto (sintetizzatori, console, ecc.). Non stupisce pensare che Herring un tempo fu studente di scultura in un qualche college americano, non stupisce perchè la scultura cerca di riprodurre ogni emozione umana tramite espressioni del viso, contorsioni degli arti, tensioni dei muscoli, pose del corpo, e la musica di questo "In Evening Air" del 2010 si contorce quanto può facendo tendere le emozioni a più infinito, ci si immagina il viso tirato di Herring mentre canta nel delirio di sintetizzatori che lo circonda. E' un canto teatrale, sentimentale, per lo più straziato, di forte, fortissimo impatto.

Gli anni 80 sono maestri di benessere plastificato al meglio per mascherare un buio di fondo, era il periodo in cui si era indecisi se proseguire con la New Wave di stampo punk gelido dei fine-70s o se proporre un nuovo, zuccheroso, patinato synth-pop che facesse scivolare i dispiaceri dietro a colori pastello. C'è gente che ha unito le due cose, gente come i O.M.D. che in questo secondo lavoro dei Future Islands tornano presenti come maestri di vita, ascoltando l'iniziale uno-due di "Walking Through That Door" e "Long Flight" si torna ad assaporare il tempo che fu e che chi, come me, è nato troppo tardi vive nel desiderio di averne voluto respirare la positività, di aver voluto vivere l'ultimo decennio romantico. Ero bambino negli anni 80, ho assistito alle pubblicità del Crystal Ball ma non ricordo di aver sentito "I Like Chopin" di Gazebo, a suo modo un manifesto. Non è tutto qui però, se l'incipit può esser relegato in un nostalgico ricordo degli artisti che fecero grande il decennio dell'illusione allora è bene spingersi oltre per capire che Herring non ha intenzione di fermarsi ai primi nomi che saltano in mente e vuole scavare a fondo non solo nelle proprie ispirazioni musicali ma anche nei modelli canori che ha in testa: la voce infatti plana ed atterra partendo da un celestiale pop ad un cavernoso ed alcolico timbro denso di catrame nicotinico già in "Tin Man" ed ancora di più in "An Apology", che pare cantata da un orco ubriaco. In pratica, da Tom Waits. Ed è giunti a questo punto che ci si ricorda della grandezza che un basso può donare ad una canzone, quali sono i pezzi resi grandi da una chitarra, ascoltatore medio? Ok, sì, dai, basta. E quelli resi grandi dal basso? Ehm, uh, yuk, oh. Bene, ascoltati "An Apology" dei Future Islands, poi forse un nome me lo sai dire. Senza Cashion la canzone mai sarebbe stata la stessa, così come la cavalcante "Swept Inside" dove Herring danza sul tappeto ritmico creato per lui con un fare imbarazzato, ha voglia di farsi notare ma stavolta il protagonista non è lui. Dopo questo intermezzo piacevole e rude coronato dalla fulminea title-track, si torna un po' alle rose 80s con "Inch Of Dust", soffice ma densa di catarro, e soprattutto con "Vireo's Eye" dove lo spettro di uno statuario David Bowie sta lì sopra a queste povere nullità americane e le osserva compiaciuto con sguardo glaciale e le braccia conserte.

Secondo me un sorriso demoniaco gli scappa, allo spettro di Bowie, anche sulla conslusiva "As I Fall", scelta come singolo a tesimonianza che la gente comune viene catturata dalle cose più facili e talvolta meno belle, basta che siano gradevoli. Gruppo interessante, si autodefiniscono Post-Wave e in effetti non fa una piega; forse un po' troppo nostalgici ma pieni di buone idee, come tante cose che si ispirano agli anni 80.


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