Agli albori degli anni novanta nacque a Londra questa formazione di equivoci frequentatori di loschi locali notturni capitanati dal polistrumentista James Johnston. Sin dai primi lavori si mossero sulla scia di sangue blues post-punk lasciata da gruppi come i Birthday Party di Nick Cave con molto noise appiccicato addosso. Con questo terzo lavoro i suoni e la produzione si sono fatti più puliti e meno rumorosi, con molti pezzi dall'andamento swing ("It's All Mine" e "The Road Ahead"), momenti "sexy" beat ("Up On Fire") e brani di fusion jazz-rock-blues che risultano a volte un pò monocordi. Nonostante all'inizio della loro carriera abbiano rappresentato il punto di rottura perfetto colla scena british pop imperante di allora grazie alla loro attitudine oscura e allora loro commistione di generi non facili, "In The Long Still Night" alla fine trova le sue carte vincenti nei passaggi più controllati e di facile definizione musicale come nella ballata limacciosa "Geraldine" (l'ennesima ragazza di un cantante rock che riscuote il suo tributo di sangue) o nell'iniziale, roboante blues a spasso nel deserto di "Two Clear Eyes". Dopo un ottimo avvio e una parte centrale in minore percorriamo comunque le strade di Londra nel finale in levare riscaldati dalla marcia gospel della title-track, piccola gemma conclusiva di un album da ascoltare rigorosamente di notte...

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