Gabriella Cilmi.
Ormai la conoscono tutti, e chi non per nome, piuttosto per la canzone "Sweet About Me", tra i maggiori successi dell'anno appena terminato.
All'uscita del singolo, tale ragazzina (all'uscita aveva 17 anni) venne adorata da tutti, critica e pubblico, chi la definiva la pura ed unica rivelazione dell'anno, chi diceva che il brano era semplicemente un purissimo goiellino pop dalle tenaci sonorità blues, chi diceva che avrebbe apportato sicuramente un nuovo capitolo alla storia della musica. Insomma, una semi-divinità.
E, dall'alto del suo Monte Olimpo, questa ragazzina ci regala, aihmè, il suo album di debutto.
La critica è estasiata, il Times si delizia nel regalarle senza poche storie 4 stelle (desidero ardentemente sapere a quanto ammonta il pagamento del recensore) e sembra che tutti gli altri stiano lì a fare a gara a chi le dia di più.
E, spinto da una serie di più che ottime recensioni, e dal buon ricordo del suo primo singolo, che in fondo, pur essendo l'essenza della semplicità, aveva un motivetto molto attirante, quasi ipnotizzante (poteri divini di tale dea?), mi cimento nell'acquisto di tale album.
Senz'altro, ero in vena di sfide.
Le mie orecchie si accostano ad ascoltare buona musica, un po' di pop passatempo. E, dopo l'apertura dei due modesti brani "Save The Lies" e l'appena citato "Sweet About Me", i miei timpani iniziano ad urlare ed a supplicare pietà.
Questa, infatti non è altro che l'ultimo arrivo della generazione delle cloni della Winehouse, sì, perchè se nasceva tre anni prima, la ritrovavamo a fare della dance pop 'à la Britney' con i capelli ossigenati ed i seni al vento, ora, invece, piacciono ragazze aggressive, che trattano male i ragazzi, e che hanno quella vena tanto retrò.
Lei, invece, non ha nulla, se non una voce notevole, sprecata in brani che non esprimono nulla, come "Sanctuary", singolo recentemente pubblicato, che sembra partire da un momento all'altro ma che non riesce mai a decollare del tutto, brani che cercano di mescolare una leggera sonorità blues a qualcosa di un po' più ballabile (questioni commerciali) come la dance pop ("Don't Want To Go Bed Now"), qualche ballata talmente spenta da sembrare un buco nero ("Einstein", "Sit In The Blues") e qualche brano dal sound sporcato con il pennellino ("Cigarettes And Lies", "Terrifying").
Il disco, purtroppo, ci lascia con una nulla tra le mani, tant'è che, anche quando un brano è buono ("Awkward Games", "Safer", "Echo Beach"), non sentiamo niente se non un amarissimo retrogusto di falso, di canzoni studiate solamente per piacere alle masse, che se ne fregano della qualità, che ci sia o meno.
E a quanto pare non era nemmeno questa la volta buona in cui qualcuno avrebbe risollevato dalla china la situazione musicale. E mi sembra la milionesima volta che ripeto questa frase.
Mi rincuoro pensando che tra un paio di stagioni, quando la casa discografica l'avrà spremuta a dovere e si accorgerà che non produrrà più succo, sparirà dalla circolazione, o magari, perchè la voce, davvero, non le manca, creerà un vero disco...
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