Eric Roger rappresenta pienamente lo spirito profondo del Giullare medievale, figura complessa ed ambigua, che palesa il proprio lato lunare, notturno e sinistro attraverso una maschera scintillante, diurna e solare. Esponente tra i più originali della scena Neo-folk, il musicista francese, ormai orfano della fantomatica Chiesa di Fand, giunge al secondo lavoro in solitaria, dopo il viaggio nelle novelle francesi di Aucassin Et Nicolette.
Se nel suo concretizzarsi storico la figura del Giullare è stata perlopiù impersonata da boriosi chierici col doppio mento, dotti pedanti con uno spirito da eterni bambini, è la Letteratura che ha elevato questo personaggio facendone un simbolo di ricerca, interprete del confine tra il mondo sensibile e quello celeste, funambolo del "Se". Come un vecchio "buffone" d'annata, Eric Rogers volge il suo sguardo bonario al passato, costellato dai numerosi lutti che han segnato la sua vita, e decide che è giunto il momento di rendere tributo alle stelle che hanno segnato il suo cielo. D'altronde, come ammette lui stesso, "anche la morte è un pensiero come un altro in cui rifugiarsi".
Come il titolo suggerisce, 'Requiem' è una raccolta di brani che ruotano attorno alla morte umana, eleganti e sontuosi nel loro incedere, come da sempre i Gae Bolg ci avevano abituato; semmai in questo frangente cambia la prospettiva, che si fa più intimista, personale: il lutto può essere esteriore come interiore, ma è sempre l'Io il principale artefice di queste rappresentazioni del dolore, squisitamente liriche e poetiche. Ciò che distingue Eric Rogers dal resto della scena, almeno dai suoi rappresentanti meno sinceri, è quel continuo bilanciarsi tra il lato serio e quello ironico, che porta la musica a spaziare tra questi due poli senza stancare mai l'ascoltatore, a volte scosso da cori e trombe, a volte solleticato dalla voce istrionica e buffonesca del Nostro.
Anche ad un livello più strettamente concettuale quest'alternanza di toni crea un gioco di vuoti e pieni degno delle grandi architetture medievali: il medioevo è il momento in cui la ricerca esasperata della Forma diviene da sé Contenuto e Senso; così la musica dei Gae Bolg costruisce imponenti strutture servendosi di fiati, trombe ed archi, ricordandosi poi che è il vuoto della navata che fa grande la chiesa: sono i canti a solo che stemperano l'atmosfera, le pause dopo le accelerazioni che donano grazia all'insieme.
Si passa così dai tre "Choral" (I, II e III), che si sviluppano in cori e controcori secondo la struttura tipica del Requiem, a brani più ragionati e malinconici come "Agnus Dei" e "Hymne", per poi passare subito a momento più sperimentali, come la bellissima "Totentanz", pregna di reminiscenze ottantiane, "March Au Tombeau" con le sue trombe graffianti ed una brano come "Dies Irae", classico ma inquietante nelle sovrapposizione delle linee melodiche.
Il filo conduttore di un modo tanto eterogeneo di intendere l'arte è rappresentato senza dubbio dalla voce di Eric Roger, molto teatrale e impostata (per chi lo conoscesse è simile a quella di Garm in "La Masquerade Infernale" degli Arcturus, non a caso); se una scelta simile puà allontanare una parte degli ascoltatori, è pur vero che risulta congeniale al contesto lirico-concettuale a cui si lega: è forse un caso che alcuni tra i più grandi trickster del passato siano strettamente legati con il mondo dell'aldilà? Così l'Ulisse dantesco si getta nell'abisso oltre le colonne d'Ercole, così Mefistofele tentatore, con la sua barbetta caprina, così l'ironia dei becchini in Amleto mentre seppelliscono i cadaveri. La letteratura è popolata da queste figure ambigue, a cavallo del confine tra umano e divino, ignoranza e conoscenza: sembra che sia una loro prerogativa custodire la porta che separa queste realtà, dato che solo loro hanno quell'ironia che rappresenta la chiave per non impazzire nel tragitto tra un mondo e l'altro. Kafka non l'aveva e così non ritornò più da quel mondo di incubi in cui si era immerso, e così Munch, Strindberg ed Ibsen.
Eric Roger invece possiede queste chiavi che gli permettono, incompreso dai più, di riemergere da questi abissi della morte e trasportarli velandoli di ironia e distacco sarcastico sulle note della propria tromba.
Catartico.
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