"Meu nome è Gal, tenho 24 anhos. Nasci na Barra Avenida, Bahia. Acredito em Deus, gosto de baile, cinema. Admiro Caetano, Gil, Paulinho Da Viola, Jorge Ben, Rogério Duprat, Dircinho..."
Il primo passo per capire - non tanto il Tropicalismo in senso lato, ma ciò che il periodo a cavallo fra '68 e '69 rappresentò per i Tropicalisti - è riconsiderare nei giusti termini l'esilio cui furono costretti (dopo il carcere) Caetano Veloso e Gilberto Gil. Fu esilio nel senso reale, politico del termine. Imposto da un'autorità politico/militare, motivato dalla "natura trasgressiva della loro arte". Dicasi, in termini tecnici: "contaminazione delle forme pure della Musica Popolare Brasiliana". Il regime non tollerava più quella che era diventata una spina nel fianco. Era il momento d'infliggere una pena esemplare, qualcosa che servisse da monito per le altre coscienze (troppo) libere del Paese. Il Paese che all'estero si nascondeva dietro alle immagini da cartolina di Ipanema, della Selecao vestita di verde-oro, di Pelè che con facilità irrisoria sfondava le porte avversarie, s'affannava a nascondere i propri "scheletri" dentro un armadio che oramai non poteva più contenerli tutti.
Gal Costa era UNA DI LORO. E nel cantare "il mio nome è Gal" - su note di Roberto ed Erasmo Carlos - una delle Muse del Tropicalismo proferiva molto più di una semplice, elementare dichiarazione. Il fatto che sia il suo pezzo-simbolo, nonché suo biglietto da visita per tutti gli anni a venire, è paradossalmente secondario - nel contesto di quel clima di rabbia post-sessantottina. Era soprattutto rivendicare due appartenenze: quella bahiana e quella (non separabile dall'altra) culturale, alla filosofia dei nuovi Artisti brasiliani. Il tutto amplificato - e all'ennesima potenza - dal suo essere Donna in un Paese liberticida. C'era bisogno d'altro, perché quel Pezzo suonasse epocale già alla sua uscita?
Sì, in realtà c'era dell'altro. "Meu Nome E' Gal" riassume alla perfezione - e qui parliamo di SUONI - il percorso stilistico del Tropicalismo. Parte come una bossanova, adagiandosi su una melodia classica e ingentilita da orpelli orchestrali, ed evolve poi - ma è più giusto dire: "degenera", "s'infiamma", "esplode" - in un vortice di elettricità convulsa e incontrollata. In un marasma di vocalizzi orgiastici, selvaggi, terrificanti. Gal non è più l'incantevole "cantora" del suo Disco precedente. E' una Furia dalla chioma scura, capace di sedurre ma anche di turbare e d'impressionare allo stesso tempo.
E' puro caso che l'Album in questione, in Brasile, sia stato semplicemente ribattezzato "O Psicodelico"...?
Psichedelico, appunto. Hendrixiano. Radicale nel suo portare all'estremo - stravolgendole - le regole conosciute della Canzone Brasiliana. Senonché, "Gal" è un album estremo anche nell'ottica del Tropicalismo stesso. Fotografa un momento in cui gridare il proprio orgoglio e la propria consapevolezza di Persona era più importante del mantenersi fedele a uno stile, qualsiasi esso fosse. Anche se solo la Chitarra Elettrica, mito-feticcio della generazione di Monterey, poteva esprimere nella maniera degna quel turbinio di passioni, quell'urgenza di emanciparsi da qualsiasi controllo a qualsiasi livello. Gli arrangiamenti - geniali - di Rogério Duprat fanno il resto.
AscoltandoLa intonare "Tuareg" di Jorge Ben - introdotta da svenevolezze berbere che parlano di una sensazionale fusione fra bossa e musica araba - non riesci a concentrarti sul solo splendore musicale del Pezzo, ma capisci che quei suoni non avrebbero la stessa potenza indipendentemente da quelle parole (e dal significato che nascondono): il Tuareg "nobile" e "fiero" nell'adesione a una vita di guerra e fatiche non è pura immagine da racconto esotico. Diventa metafora dell'orgoglio nazionale brasiliano. Ferito, anzi colpito al cuore. Eppure mai domo, incapace di arrendersi (l'altro Pezzo di Ben qui presente è "Paìs tropical", e sulla sua natura di assoluto "anthem" per il movimento ci sarebbe ben poco da aggiungere...).
I Tropicalisti avevano innata questa potenza immaginifica, anche perché adepti al culto del Cinema. Culto celebrato (e con tutti i crismi del caso) in "Cinema Olympia" di Caetano - e sono SPARI vocali quelli eseguiti da Gal nella parte centrale, persino più forti (in quanto a puro tasso psichedelico) delle chitarre in overdose di fuzz che li accompagnano, qui e pressoché ovunque. La nobile firma dello stesso Caetano sigilla anche "The Empty Boat", apparsa quasi in contemporanea sul suo "Album Branco" nonché clamorosamente californiana negli accenti - complice forse il testo in inglese, che tradisce tutta l'amarezza e il pessimismo nero di chi aveva già conosciuto la prigionia.
E se "Cultura e Civilizacao" e "Com medo, com Pedro" si vestono di un acid-blues alquanto familiare a chi è già transitato dalle parti dei "colleghi" Os Mutantes, è "Objeto Sim, Objeto Nao" di Gilberto Gil (tre pezzi in tutto, quelli firmati da Lui) a scatenare l'Inferno. Anche qua si degenera, certo, ma lo si fa precipitando in un labirinto di cacofonie, nastri manipolati e voci sovrapposte a metà fra i primi Soft Machine e il Wyatt dell'esordio solista. Del resto, una delle traduzioni migliori di "Tropicalismo" è: "LASCIARSI ANDARE".
"Gal Costa è fra le cose più importanti che siano successe alla Musica Brasiliana di oggi. E non penso ci sia ancora qualcuno che ha paura della chitarra elettrica" (Caetano Veloso).
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