Un certo giorno dell'anno 1989, si presentarono da Mr. John Peel, negli studi di Londra di BBC Radio 1, tre ragazzi un po' dismessi, con gli abiti sgualciti (non li avevano stirati), i capelli lunghi e sporchi, lo sguardo assente. Nemmeno una laurea ad Harvard era riuscita a smuovere la loro apatia: "tutto è già successo; tutto è stato già scritto ed ascoltato; e se c'è stato qualcosa, ce lo siamo perso". Sono i Galaxie 500: Naomi Yang, Damon Krukowski e Dean Wareham; tre ragazzi di Boston.

La loro musica è la malinconica constatazione di essersi persi qualcosa; di non essere stati al posto giusto nel momento giusto; di non aver fatto quello che dovevano fare. Se le note fossero lettere, i loro suoni sarebbero un romanzo ottocentesco sul rimpianto: rimpianto per qualcuno che non torna a casa, per una relazione andata male, per gli anni Ottanta, in generale, con il loro ottimismo e la loro ingenuità. Quando questi tre ragazzi di Boston si presentarono da Mr. John Peel, dopo essere stati rifiutati da tutte le label americane, le rivoluzioni stavano scoppiando altrove: in Russia, nei paesi dell'Europa Orientale. Mentre in Germania il muro di Berlino veniva fatto a pezzi e venduto come souvenir, loro registravano due session live; e poi firmavano un contratto con la Rough Trade US che, dopo qualche anno, andrà in bancarotta. Di quelle due registrazioni, rimangono alcuni spezzoni; flashback che non sanno come riescono ancora a ricordare.

See all the wonders that you leave behind
Enshrined in some great hourglass

John gli chiese: "La sapete Submission, dei Pistols?" e loro, dopo essersi lanciati uno sguardo, per cercare conferma l'uno negli occhi dell'altro, iniziarono a suonare qualcosa che è l'antitesi all'inno punk-rock che gli era stato richiesto.
John capì che non era serata; che questo gruppo non seguiva le mode, che questo gruppo non avrebbe sbancato il botteghino. Però intuì una cosa fondamentale: sapevano esprimere la malinconia come nessun altro, sapevano descrivere la nostalgia come solo i grandi nomi di Leonard Cohen e Nick Drake sapevano fare. Le meraviglie che si erano persi, erano capaci di ricrearle in musica.

Staring at the kitchen sink
Feeling a plastic mood
Feel like things have gotta change

I loro brani rappresentano la filosofia della perdita e del rimpianto, e descrivono alla perfezione la parabola delle loro vite musicali: si ingrossano solo verso la fine, quando la canzone sta per finire, quando ormai qualcuno ha già schiacciato il tasto forward del mangianastri. Sono un déja vu psichedelico di atmosfere e momenti che non hanno vissuto: un omaggio ai Velvet Underground ("When Will You Come Home"), quattro eccellenti cover ("Submission" dei Pistols, "Final Day" dei Young Marble Giants, "Moonshot" di Buffy Saint Marie e "Don't Let Our Youth Go To Waste" di Jonathan Richman); infinite ispirazioni per tutti gli shoegazer a venire ("Blue Thunder", "Flowers" e "Decomposing Trees").

Nel 1990 i Galaxie 500 si sciolsero; nello stesso anno iniziavano a cadere i primi pezzi della dittatura sovietica e milioni di persone guadagnavano la libertà; ma, come al solito, loro erano da qualche altra parte. 

Carico i commenti...  con calma