" Morricone è come Dio, potrei sacrificargli  la cosa più preziosa che possiedo: la tessera di disoccupazione" James Johnston, 1991.

Quest'album è un'antologia del rock e i dieci brani stampati  sul vinile raccolgono i  rispettivi cinque singoli (dalle copertine improbabili) pubblicati in tre anni di attività. Se alla fine di ogni esibizione si strizzasse la camicia con il colletto ad orecchie di elefante di James credo che si possa distillare  un torcibudella da ubriacatura micidiale. In un casino di Memphis avrebbero fatto sfracelli: immaginate il fumo tagliato a fette dai grossi ventilatori appesi al soffitto, la sordida atmosfera ideale per un brano come il traditional "Miserlou" con quell'andatura caracollante della chitarra che ti incolla le note addosso come grosse gocce di sudore. Lasciate stare le sciordine tarantiniane alla "After dark" con il povero Tito Larriva (please, riscoprite "Electrify Me" dei Plugz!) messo a fare il pagliaccio per far ballare Salma Hayek: sono i Gallon Drunk la colonna sonora ideale per i contorcimenti di Satanico Pandemonium!

Incredibile come questi quattro londinesi di Camden Town siano riusciti a spingersi fin dentro i miasmi lisergici della palude melmosa dove Norman Bates ha affogato il cadavere di Hank Williams e dove dall'acqua putrida spunta la cima della banana di Elvis in decomposizione. E' un biotopo sinistramente antropizzato: dagli alberi al posto delle liane pendono le corde delle chitarre di Link Wray e di Bo Diddley. Viscerali, umorali, oscuri, tribali, esasperati, spingono il piede sull'acceleratore fino a far deragliare gli strumenti: le estenuanti svisate della chitarra di Johnston e le urla belluine che condiscono "Ruby"; l'elementare scala del basso di Mike Delanian e le maracas del coreografico Joe Byfield nella soffocante "Dragging Along"; quello straccio di canzone che è "The Last Gasp" caracollante lungo i tasti bianchi e neri dell'hammond che si apre la strada nell'ipnotico ritmo dei tamburi; Dave Brubeck dilettante preso in prestito quando aveva già in mente di comporre "Take Five" e messo a costruire l'ossatura di "Rolling Home"; l'animalesco delirio psycho-blues di "Snake Pit" che non sfocia da nessuna parte e rimane chiuso in quell'interazione claustrofobica tra fumo, caldo, sudore e puttane; un classico minore del rockabilly come "Please Give Me Something" tale e quale l'avrebbero rifatto i Cramps se Lux Interior si fosse deciso ad ingaggiare un bassista decente.

Qualcuno ha accostato la musica stonata dei Gallon Drunk ai deliri ubriaconi del tormentato  Nick Cave, ma quando attaccano una ballata sbevazzona come "May the Heart Open Here"  il tormento esistenzialista non abita più qui. Non può che venir in mente un'altra accozzaglia di brutti ceffi australiani che solo per il nome sembrano essere  loro ideali compagni di sbronze:  Beasts Of Bourbon.

Che il dio del rock  tenga  alto il tasso alcoolico del  loro sangue.

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