Sì, ricordo ancora quella volta che ebbi la ventura di vedere i Garage, ovvero quell'incrocio fra Nick Cave e Giovanni Lindo Ferretti accompagnato dai Nirvana, ma col batterista degli Smashing Pumpkins: fu diversi anni fa a Legnago, nel veronese. Mi impressionò allora come fosse possibile che da un semplice power trio (basso-chitarra-batteria) + voce potesse emergere una vibrazione tanto potente e mantramica, in grado di ipnotizzare un intero locale, e nemmeno piccolo! Allora si chiamavano Garage 29 e il loro disco, un maxi single, era Amnesia.
Poi rimasi piacevolmente sorpreso di vederli recensiti qui, segno della maturità di questo progetto, anche se non capisco come mai la recensione di Amnesia non abbia ricevuto praticamente nessun commento. Figuratevi la mia sorpresa nel vedere oggi nei negozi fisici e virtuali un loro cd, chiamato col modo nuovo di scrivere il loro nome, il più evocativo GarageVentiNove. Ho dovuto leggere le note, cioè verificare la voce di Brian K, la chitarra di Ermanno Monterisi e il basso di Claudio Fusato per sincerarmi che fossero sempre loro! ;) Ora hanno anche una cantante donna dalla voce vellutata, Patty Esse, e un nuovo batterista, certo Ciccio Nicolamaria, che però ho letto da qualche parte non essere nuovo al progetto.
Beh, che dire? Ascoltando Il Male Banale molte cose sembrano essere cambiate, al di là di voce e batteria, i ritmi si sono rallentati e il suono è più moderno, meno anni 90. Ma una cosa non cambia: la loro creatività, la loro intensità, quella capacità magica di fare musica d'autore coinvolgente. Infatti il disco è un capolavoro e, come per tutti i capolavori, lo si capisce solo dopo qualche ascolto. Di certo non manca la loro attitudine post-punk, qui esemplificata da "Mari Gialli", cantata da Patty, e dalla bellissima bonus track "Kali Yuga" con Brian alla voce, il canto di una decadenza tanto invasiva quanto necessaria, quasi karmica.
A ciò però si aggiungono altre suggestioni e altri stili, come la desolata "Clessidra (Precipizio in)": inizio spartano e malinconico, stacco straniante e deriva Sonic Youth. O ancora la prima, sorprendente "Hannah A.", martoriata da una tastiera in pitch e percussioni elettroniche in una struttura assolutamente irregolare (e imprevedibile), un assurdo e orientaleggiante incrocio fra house, acid rock e progressive. "Guarda un po' Più in Là" è il loro episodio più analitico e inquietante, dove gothic e indie-rock si incontrano, mentre "Ocean" resta quello più melodico e radiofonico, ingentilito com'è dalla voce femminile, forse si tratta del loro singolo.
Ma ciò che mi ha conquistato maggiormente è la nuova vena... come definirla? Metafisica? Di delirio alla deriva? "Labirinti Silenti" è un lungo raga alle radici interiori dell'anima, per buona parte acustico ma alternato a sapienti e potenti afflati mantra-rumoristi, mentre "Down the River", voce maschile catacombale e femminile alla Dead Can Dance persa in echi e riverberi, è forse il loro picco insieme mistico e sciamanico. Come dire... usiamo la trascendenza per superare la banalità del male?
Certo, forse il Male è veramente banale, come sembra suggerirci anche una copertina in bianco e nero di periferie degradate e piante appassite, una natura morta come la cultura. Ma a cantarlo così, in un caleidoscopio sonoro che porta dalla wave al post rock, passando per neopsichedelia e cross-over... è veramente bellissimo!

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