I Garden of Shadows si definiscono, anche se di definizioni per un genere così complicato è difficile trovarne e facilmente si rischia di cadere in classificazioni lunghissime e pacchiane, mystic epic black metal. Il fatto che il loro metal sia letteralmente sommerso da una valanga di aggettivi non squalifica certo il loro lavoro.

Per spiegare meglio questa definizione si può dire che di black qua ce n’è davvero poco, gli unici elementi ad esso riconducibili possono essere le tastiere, eteree e sognanti, come se scaturissero dall’incantato paesaggio lunare della copertina.

La parte ritmica, notevole la prova dietro le pelli di Bret così come l’apporto non evidentissimo ma comunque determinante del basso(e queste sono le solite frasi ipocrite che si dicono per i bassisti, almeno per quelli “normali”) e gli splendidi riff di chitarra fanno più pensare ad un melodic progressive death, a metà tra i Death e i Dark Tranqullity, di gran fattura e per quello che ho sentito finora, originale. Notevole è infatti l’accostamento delle tastiere a una matrice tipicamente death, ponendo una via di mezzo tra quattro generi, il black, il progressive death di chuck shuldiner per quanto riguarda tempi dispari e amenità simili, il grind per la voce, chi ha detto Cannibal Corpse?, e perché no, anche un po’ di epic per le coinvolgenti melodie, alcune di “lieve” stampo maideniano.

Un gruppo che mi è venuto in mente durante l’ascolto di questo Oracle Moon sono i Cradle of Filth, loro conterranei, meno sinfonici e più diretti, anche per i testi, perfetti ritratti di atmosfere lunari poetiche e sognanti. Impossibile una descrizione traccia per traccia, a causa della loro complessità ma difficilmente questo cd vi deluderà

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