Tratto dal primo libro della omonima trilogia di Suzanne Collins, “Hunger Games” (2012) segna il ritorno dietro la macchina da presa di Gary Ross dopo una pausa lunga 9 anni dal precedente “Seabiscuit”.
Il risultato è un film ben girato, in cui il materiale letterario di partenza viene non solo rispettato quasi pedissequamente, ma per certi versi addirittura esaltato per l’efficacia e la lucidità con cui pressochè tutti gli elementi del libro vengono trasposti in immagini. Più in particolare, Ross, forse consapevole della estrema derivatività del soggetto, decide di calarsi completamente nel futuro apocalittico descritto (in maniera a ben vedere un po’ sommaria) dalla Collins e di compensare la scarsa originalità della sceneggiatura con una cura davvero apprezzabile per i particolari: dai vestiti al trucco, dalla scelta delle locations agli interni e, ultimo ma non ultimo, alla scelta dei personaggi comprimari (menzioni d’onore per un immortale Donald Sutherland e per un azzeccato Lenny Kravitz. Comunque efficace, ma non esattamente fedele al personaggio letterario, invece, Woody Harrelson).Soprattutto colpisce la capacità del regista di muoversi con disinvoltura attraverso i vari scenari in cui si svolge questo primo capitolo della trilogia, alternando sapientemente registri narrativi e registici: dalla desolazione del Distretto dei minatori della prima parte, allo stupore per gli eccessi kitsch all’arrivo dei protagonisti a Capitol City, per poi terminare con una ultima porzione dal taglio più “action”ambientata nell’arena in cui si svolgono i veri e propri Hunger Games. Peraltro, il regista losangelino deve dividere buona parte del merito con la giovane, ma decisamente dotata, Jennifer Lawrence, chiamata a ricoprire i panni della protagonista della saga. Proprio la Lawrence, infatti, pare avere colto pienamente lo spirito del personaggio di Katniss Everdeen, conferendole la giusta fisicità e la giusta intensità. Vi è comunque da dire che il film risulta non privo di difetti. Da un lato, tutta la parte dedicata al rapporto amoroso tra i due protagonisti (già abbastanza stucchevole nel libro), viene rappresentata in maniera fin troppo zuccherosa. Dall’altro, almeno una intera sequenza (quella della rivolta nel Distretto 8), è pervasa da una fastidiosa sensazione di “posticcio” (non a caso risulta essere, in pratica, l’unica aggiunta significativa rispetto all’opera letteraria). Il bilancio finale, tuttavia, può senz’altro dirsi positivo: “Hunger Games” intrattiene in maniera efficace e, pur essendo un film evidentemente destinato ad un pubblico di teenagers, non fa vergognare o pentire l’incauto spettatore over 18.Carico i commenti... con calma